Pubblicato il 22 Febbraio 2020 | di Redazione
0Con pregi, difetti, sogni e paure. Soprattutto persone, senza disabilità
Non è facile parlare di malattia, ma anche di disabilità senza cedere alla tentazione di ricorrere ai luoghi comuni o peggio senza cadere nel pietismo. L’altro rischio è quello di affrontare l’argomento in modo troppo impersonale, non riuscendo a restituire la giusta dignità.
Il primo mito da sfatare è che non bisogna equiparare malattia e disabilità, è vero che una persona con disabilità può anche essere malata, ma i due termini sono affatto sinonimi.
Un altro errore in cui si rischia di incappare è quello di ricorrere al sensazionalismo o mascherare l’ipocrisia dietro il politically correct, come coloro che ogni volta che si rapportano al tema utilizzano solo aggettivi positivi per descrivere queste persone, come se il solo fatto di essere in quella condizione, li potesse rendere automaticamente migliori.
Peggio di una cattiva informazione, c’è poi il rischio che queste tematiche passino completamente nel dimenticatoio, nell’indifferenza generale, rendendo queste persone invisibili in un’epoca nel quale tutto ciò di cui non si parla nei media è come se non esistesse.
Quindi di malattia e disabilità si deve parlare, sfatando però alcuni falsi miti. Per fare ciò ci viene in aiuto Franco Bomprezzi, che il 9 aprile del 2014, stilò “Decalogo della buona informazione sulla disabilità”. Si tratta di dieci regole, utili per il mondo giornalistico, ma da cui si possono trarre conclusioni valide un po’ per tutti. Leggendo tale decalogo, si nota come la maggior parte delle indicazioni che fornisce Bomprezzi siano poi delle regole di “buona educazione” che possono risultare valide ogni qualvolta ci si ritrovi a parlare di persone in generale (verificare le notizie, utilizzare le immagini solo quando sono indispensabili e comunque corredandole di didascalie corrette e non offensive della dignità della persona; quando la persona oggetto dell’immagine è chiaramente riconoscibile, chiederne il consenso alla pubblicazione; concepire titoli che riescano ad essere efficaci e interessanti, senza cadere nella volgarità o nell’ignoranza e rispettando il contenuto della notizia). Perché poi il nocciolo della questione è proprio questo: se parliamo di malattia o disabilità stiamo innanzitutto parlando di esseri umani! Esaustivo in tal senso l’articolo “Invalido a chi? Disabilità: le parole corrette” di Claudio Arrigoni, scritto per il blog InVisibili il 5 aprile 2012. Lui scrive che la prima cosa da focalizzare è proprio la persona e se è proprio necessario esplicitare la sua condizione, bisogna farlo solo dopo. Bandite allora le espressioni diversamente abile, disabile o peggio handicappato, portatore di handicap, invalido: semplicemente persone, persone con disabilità, con pregi e difetti, sogni e paure, ma soprattutto senza diversità.
Eleonora Pisana