Vita Cristiana

Pubblicato il 4 Marzo 2020 | di Mario Cascone

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La spiritualità dei “Christifideles laici” Portare il Vangelo fuori dalle sagrestie

È abbastanza ricorrente oggi la tentazione della clericalizzazione dei fedeli laici e della laicizzazione dei preti. Ci sono infatti diversi laici che interpretano il loro servizio ecclesiale come una sorta di scimmiottatura dei compiti clericali e non mancano i presbiteri che vivono alla stregua dei laici, venendo così meno alla loro specifica missione ecclesiale. Questa confusione di ruoli nasce probabilmente da una diffusa ignoranza circa l’identità della Chiesa e dei diversi ministeri che la caratterizzano e la arricchiscono.

Chi sono i laici nella Chiesa? Con un linguaggio in negativo possiamo dire che sono coloro i quali non appartengono ai ministeri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi) e non hanno fatto professione religiosa dei voti di povertà, castità e obbedienza. Ma questa è una definizione che procede per esclusione e di fatto non ci dice chi è il laico. Per delineare l’identità dei “Christifideles laici” dobbiamo necessariamente fare riferimento alla categoria di “mondo”, inteso come l’insieme delle strutture e degli ambienti in cui si conduce ordinariamente la vita degli uomini. I cristiani laici sono coloro che, come dice il Concilio, cercano il Regno di Dio “trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (Lumen gentium 31).

In modo più specifico il Vaticano II afferma che i laici si santificano offrendo al Signore la loro vita quotidiana, condotta nel mondo, e diventando adoratori di Dio nelle strutture temporali: “Tutte infatti le loro attività, preghiere e iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e anche le molestie della vita, se sono sopportate con pazienza, diventano offerte spirituali gradite a Dio attraverso Gesù Cristo; nella celebrazione dell’eucaristia sono in tutta pietà presentate al Padre insieme all’oblazione del Corpo del Signore. Così anche i laici, in quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso” (Lumen gentium 34). È particolarmente suggestiva l’idea che i laici siano definiti da questo testo conciliare come “adoratori dovunque santamente operanti”, che grazie a questa loro caratteristica operano la “consecratio mundi”. La presenza di laici autenticamente cristiani nelle strutture temporali determina una santificazione del mondo, che così si presenta come il “luogo” dove Dio abita e viene adorato.

Su questa base Giovanni Paolo II, nella “Christifideles laici” al n. 15, afferma che “l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale”. In altri termini i laici vivono la loro appartenenza ecclesiale non rinchiudendosi dentro il sacro tempio, ma inserendosi negli ambienti del mondo, secondo la logica evangelica del “sale” e della “luce”. L’indole secolare, dunque, è specifica per la loro missione e per la loro santificazione: essi infatti realizzano la loro specifica vocazione non fuggendo dal mondo, per chiudersi nelle sagrestie, ma vivendo dentro le strutture  temporali, nelle quali cercano di portare il “fermento” del Vangelo.

Da questo punto di vista si deve qualificare come deviante il fatto che spesso i fedeli laici dedichino un interesse così grande ai servizi intra-ecclesiali da giungere ad un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel campo professionale, familiare, sociale, economico, culturale e politico. Non possiamo fare salti di gioia quando la massima aspirazione di un fedele laico è quella di dedicarsi ai soli servizi liturgici o catechetici e non invece quella di dare la sua testimonianza di cristiano autentico negli ambienti di questo mondo, a cominciare dalla sua famiglia e dal suo lavoro.

Quest’ultima sottolineatura ci porta a dire che non ci sono due vite: quella “spirituale” e quella “secolare”, così come non c’è dicotomia fra i servizi intra-ecclesiali e quelli che, evangelicamente, si possono svolgere nelle strutture di questo mondo. Un tale dualismo va superato, perché risulta apertamente fuorviante. Il laico deve coltivare la sua spiritualità a stretto contatto con la vita ordinaria di ogni giorno, così come deve interpretare il suo servizio alla Chiesa non come qualcosa che lo distoglie dall’impegno socio-politico, ma come una cogente chiamata a dare il suo specifico contributo per la costruzione del bene comune. Oggi più che mai c’è bisogno di laici cristiani che non facciano gli schizzinosi nei confronti della politica e non deleghino ad altri, che cristiani non sono, questo delicato settore della vita sociale. C’è anche bisogno di fedeli laici che non nascondano la loro identità di cristiani quando si trovano a contatto con le realtà sociali. Pur senza giungere a forme sbagliate di trionfalismo e di fanatismo, i laici impegnati a condurre una vita autenticamente cristiana si fanno riconoscere per la correttezza del loro comportamento e per l’esercizio delle loro virtù. Questa loro testimonianza non può che affascinare gli altri e condurli a Cristo.

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Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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