Società

Pubblicato il 8 Marzo 2020 | di Agenzia Sir

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Una Chiesa in comunione ha bisogno di una nuova presenza dei laici

In una lettera al cardinale Ouellet, papa Francesco nel luglio 2016, ha avuto modo di osservare, forse con ironia, come sembri «che l’orologio si sia fermato». Non che manchino tante espressioni di vitalità laicale, ma uno sguardo attento può cogliere un diffuso «analfabetismo di ritorno», in particolare nella formazione laicale e nel diffondersi di forme di clericalismo. Tanto che papa Francesco chiede che venga «bandita ogni forma di clericalismo» ritenendolo addirittura «una delle perversioni più difficili da togliere». Occorre interrogarsi sul perché la grande apertura di credito fatta al laicato dal Concilio, ha faticato a mettere radici. Le ragioni sono molteplici, la principale è il ritardo con cui matura un’ecclesiologia di comunione. Dopo il Concilio si è assistito ad una situazione in qualche modo paradossale: è come se il fondamento battesimale dell’apostolato per tutti i fedeli laici avesse messo in ombra la “specificità” laicale, sotto il profilo della loro condizione di vita nella Chiesa e rispetto la missione che sono chiamati a svolgere nel mondo.

Per una visione corretta e adeguata del ruolo del laicato nella prospettiva conciliare occorre tener conto non solo del capitolo IV della Lumen gentium e del decreto sull’apostolato dei laici ma soprattutto del secondo capitolo della Lumen gentium dove la Chiesa è vista come popolo di Dio. È un dato importante che segna un punto di arrivo delle esperienze e della teologia del laicato e costituisce il vero banco di prova del rinnovamento conciliare.

È la visione teologica e pastorale che prefigura i nuovi contorni della comunità cristiana in un contesto di missione, ma che a mio avviso non elimina la necessità di una formazione specifica per i credenti che vivono la dimensione laicale non come forma occasionale ma come consapevole vocazione. Di qui l’importanza di una formazione specifica, organica, e la necessità di associazioni di laici e di un modo nuovo di vivere la dimensione comunionale all’interno di un’unica visione ecclesiale arricchita di ministeri. Come a dire che la sottolineatura della dimensione laicale rimane ancora oggi non tanto come categoria teologica a sé stante posta di fronte ai presbiteri, distinta per ciò che fa più che per ciò che è. Ma una sottolineatura che richiama una dimensione pedagogica: sollecitare i laici a scoprire la propria vocazione a viverla lungo l’arco dell’intera vita.

La mancanza di una formazione specifica capace di far maturare la consapevolezza della chiamata battesimale e la conseguente responsabilità del laico nella Chiesa e nel mondo, provoca una duplice conseguenza: l’anonimato con cui magari si svolgono determinati servizi richiesti, senza un coinvolgimento responsabile nelle scelte, oltre che nell’esecuzione, e l’assimilazione dei laici con forme appunto di clericalizzazione.

Il tema del laico oggi è quindi il tema del come aiutare a crescere la visione di Chiesa che il Concilio ci ha affidato. Senza separazioni, ma favorendo la crescita di rapporti fraterni e di uno stile sinodale.

Ernesto Preziosi

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