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Pubblicato il 17 Marzo 2020 | di Redazione

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“Non si può visitare un paziente a distanza di sicurezza”. Lo sfogo di un medico

La parola visitare deriva dal latino “visum”, supino di videri, ossia vedere, guardare.

Fuori da ogni dubbio la visita è legata alla concretezza, alla sensibilità e all’uso del corpo quale strumento di indagine e conoscenza.

E’ attraverso il corpo che sentiamo e interagiamo: proprio quel corpo che oggi, di fronte all’emergenza CoViD 19, dobbiamo blindare, disinfettare e quasi considerare fonte di pericolo, per noi e per gli altri.

Sappiamo che il Corona Virus si trasmette mediante i contatti ravvicinati con persone infette. Queste, a loro volta, non manifestano tutte immediatamente i comuni sintomi (febbre, problemi alle vie respiratorie, sudorazione anomala) diventando così un potenziale pericolo per altri, soprattutto per i più deboli. Ecco allora che: “bisogna stare a casa“, “è necessario mantenere la distanza di sicurezza“, “non si può baciare né abbracciare nessuno“. Il Virus è in agguato.

Difronte a questa emergenza, i primi a prestare soccorso sono i medici: eroi in prima linea, in una guerra senza armi.

E senza armature, possiamo dire.

I medici di base, chiamati a visitare ( e dunque ad avere un contatto ravvicinato) con potenziali casi infetti, sono le prime vittime di un sistema sanitario che, in questo caso, non tutela pienamente il curante.

“Penso che ancora forse non sono stato contagiato, penso anche che la quarantena è un buon sistema per sconfiggere il virus. Bisogna restare a casa non scherziamo con questa pandemia – commenta Santi Benincasa, medico di famiglia a Monterosso Almo – Purtroppo i soggetti positivi al virus non li conosco, non ce l’hanno scritto in fronte. Come si fa ad evitarli?”.

Uno sfogo di dispiacere è quello del dottore Benincasa che già, nelle scorse settimane, aveva segnalato l’esigenza di usufruire a pieno del servizio di dematerializzazione delle ricette mediche ( presente già dal 2013 ma non ancora pienamente attuato) per evitare ai pazienti -con malattie croniche – di fare la fila dal medico solo per la prescrizione della ricetta, esponendosi dunque al pericolo di contagio, altissimo nella sala d’attesa.

Chi sicuramente non può venire meno al contatto fisico e diretto è il medico. Non si può “visitare” altrimenti. Il telefono è un buon mezzo per recepire informazioni, per dispensare consigli. La visita, però, è altra cosa.

“Purtroppo non si può visitare un paziente restando a più di 2 metri di distanza e neanche per telefono. – continua il medico Benincasa – Mi accorgo che ogni giorno rischio e penso che arriverà il soggetto positivo per me, per i miei familiari, per gli altri miei pazienti. Si può essere carne da macello?”.

Si chiede allora sicurezza per i medici, i nostri medici: i primi che ci soccorrono quando accusiamo qualcosa, qualsiasi cosa.

Se si ammala un medico, quanti pazienti restano privi di punto di riferimento?

“È così difficile mettere un lavoratore in sicurezza? Come si fa a elogiare il nostro lavoro senza che poi non si faccia nulla per proteggerti. Come si fa a dire alla gente di non uscire di casa, tranne che per andare dal medico, sprovvisto di sistemi di sicurezza. Si lui può essere contagiato perché poi verrà elogiato per il suo sacrificio. Io chiedo, e penso tutti i miei colleghi insieme a me, che ci si faccia lavorare in sicurezza e penso che se la guerra contro questo virus deve essere vinta i medici di famiglia con il corretto supporto possono scovare tutti i positivi e isolarli da tutto e da tutti. Ma ahimè temo che non sarà possibile tutto questo!”, conclude, con tono dispiaciuto, Benincasa.

Una provocazione, una constatazione, uno sfogo che, speriamo, non resti inascoltato!

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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