Pubblicato il 11 Giugno 2020 | di Andrea G.G. Parasiliti
2Angela Pagnotti la professoressa del mare
Avrò avuto, all’incirca, 11 anni, quando la conobbi. Nel settembre del ‘99. Era il mio primo giorno di scuola media, all’Istituto Serafino Amabile Guastella di Chiaramonte Gulfi. L’inizio di un nuovo percorso fa parte di quei 3 o 4 momenti di confusione e di angoscia che ricordiamo tutti nella nostra vita. Per me un po’ di più. L’Istituto Serafino Amabile Guastella è un bellissimo (ma vecchissimo) edificio pieno di barriere architettoniche. L’ingresso principale è accessibile solamente attraverso una vertiginosa scalinata che prorompe, come per errore, dal noto “balcone di Sicilia” del comune montano. Pertanto la scuola media si presenta come un edificio sotto il livello della strada. Tuttavia, qualche architetto visionario, certamente dopo aver visto l’Isola del tesoro di Orson Wells, pensò di costruire un ponte pensile che consentisse l’abbordaggio della scuola-nave direttamente dalla strada, permettendo così, a chi come me non avesse particolare predisposizione ai gradini, di recarsi comunque a scuola. E stando il genio, come direbbe il Michelangelo nazionale, nelle minuzie, il ponte dell’arrembaggio non conduceva in un atrio, ma direttamente in una aula, che, ça va sans dire, non era la mia. Entravo pertanto a scuola, come un ladro entra in un appartamento non proprio: dalla porta secondaria, dal balcone, dalla finestra di un vicino… Fermo però trovare, nel mio caso, sempre in casa una ventina di padroni, più alti più grandi più grossi di me: i giovani di terza. Come fu, come non fu, Angela Pagnotti vide forse la scena e il mio imbarazzo con coda dell’occhio e nell’arco di una settimana – nella quale mise a ferro e fuoco la presidenza – senza che né io né i miei ci fossimo scomodati a pronunciare una sola parola, la classe col ponte divenne la mia personalissima imbarcazione. Ora non ricordo chi fosse il preside, se quel baldo giovanotto disegnato da Camilleri, cugino dell’ispettore Fazio o non so chi, ma poco importa. Quel che invece importa fu la reazione tutta cuore e milizia, della professoressa Pagnotti. A Chiaramonte Gulfi, salvo qualche nobilissima eccezione, i professori pensavano di avere a che fare, non con dei giovani studenti da formare, ma con degli animali da cortile, da deridere e da insultare e sui quali sfogare ogni forma di frustrazione provinciale. Non sempre si sbagliavano, posso dire oggi con animo più sereno ma sempre palpitante al ricordo delle molte (forse troppe) scene che avrei rivisto, una decina di anni dopo, nei migliori film di Quentin Tarantino. Angela Pagnotti era tutto l’opposto. Imperiosa con i superiori e i colleghi, morbida e avvolgente con noi, suoi studenti. Sorrentina, aveva studiato biologia marina, non ricordo se a Napoli o a Messina. Insegnava matematica. Ogni sua parola era affrescata da un morbido accento campano, intervallato da qualche rauca consonante segno di un suo peccato di gioventù, la sigaretta. Le sue lezioni dal sapore dei crostacei, dei limoni e dei mandarini, iniziavano sempre con qualche nota personale. Generosa ed espansiva, credo che qualunque suo allievo o allieva sappia tutto della sua infanzia, delle peripezie della sua famiglia (di origine e non), di suo figlio Gabriele, della sua erboristeria ragusana, del marito timido e signorile. I suoi racconti non erano un passatempo. Erano un metodo di insegnamento, il migliore, a mio modestissimo avviso. Creava in classe quella familiarità che qualche anno dopo ritrovai nei libri e nei corsi di Leo Buscaglia, il notissimo pedagogista californiano noto come “il professore dell’Amore”. Da leggere almeno “Vivere, amare e capirsi”. Della matematica ci svelò presto i dolci inganni, ovvero che i conti nella vita non tornano mai. Lo faceva con una raffinatezza e una intelligenza pedagogica da farci restare a bocca aperta ancora oggi. In un paesello piccino picciò, le menti, a volte, si introiettano le geografie circostanti. C’è chi ha l’apertura mentale delle proprie melenzane (doc, certamente) e chi invece ha una testa dura e spigolosa come il proprio muretto a secco. Si generavano allora forme di, possiamo dirlo oggi, pseudo razzismo e di diffidenza reciproca, non nei confronti dei bimbi-figli di migranti (all’epoca neanche c’erano, anzi no, uno, uno solo, che abbiamo pure meravigliosamente eletto a sindaco dei ragazzi, fantascienza no?), ma fra i bimbi di campagna e quelli di paese, fra i biondi e bruni, i luonchi e i curti, i ricchi e i puvireddi etc, etc… La Pagnotti, tanto per prepararci al 2000, all’euro, alle grandi migrazioni e all’incertezza che avrebbe vissuto gran parte della nostra generazione, sorteggiava, settimanalmente, il nostro compagno di banco. Ovvero, per abituarti alla convivenza, per aprirti all’altro, per familiarizzare con l’imprevisto (ah, “nell’imprevisto è la nostra unica speranza”, direbbe Eugenio Montale), non potevi sceglierti il tuo vicino per non chiuderti a riccio con i tuoi amici, i tuoi pari e compari, etc… Ché i bambini hanno nel sangue la Bhagavad Gita e tutto il classismo Indù (i bravi si siedono e si innamorano dei bravi, quelli bravissimi si siedono e si innamorano dei bravissimi, gli asinelli degli asinelli e così via)… “E invece no! Bisogna saper stare con tutti e saper parlare con tutti, guagliò! Ché siamo tutti passeggeri supra a sto monno… A livella! La conoscete a livella di Totò?” La matematica e la scienza erano il suo chiavistello per aprirci la testa, “Ché bisogna guardà il mare, l’orizzonte infinito, i suoi tesori nascosti e la vita invisibile, i popoli che l’attraversano e si scannano e poi si incrociano… mica la montagna che vi chiūde la tēsta!”. Sinceramente interessata a ognuno di noi, ci veniva a trovare anche in ospedale con dei piccoli doni. Ricordo ancora un “Brodo caldo per l’anima, per i ragazzi” di Jack Canfield e Mark Hansens in occasione di una mia orticaria alimentare. Ha mantenuto rapporti con molti dei suoi studenti anche dopo 20 e 30 anni dalla fine della scuola media, la scuola babba, dei 3 anni a malapena dove si entra imberbi e si esce pelosi, piccole donne vanitosette e centauri da giardino. L’ultima volta che la vidi fu nell’estate di 2 anni fa. Mi portò il suo mandarinetto alla sorrentina in occasione della scomparsa di mia nonna Graziella. Una prelibatezza. “Il mandarinetto della Pagnotti”, così lo denominammo, io e quei miei amici della scuola media Serafino Amabile Guastella di Chiaramonte Gulfi, gelosi e perpetui custodi di quel nettare marino.
2 Responses to Angela Pagnotti la professoressa del mare