Pubblicato il 22 Giugno 2020 | di Vincenzo La Monica
0“Io siamo già in troppi” un libretto folgorante di A. Parasiliti ed E. Cavarra
Per fare un libro ci vuole un artista, ma per fare un libro d’artista ce ne vogliono almeno due. Andrea Parasiliti ed Emanuele Cavarra, ad esempio! Riuniti in una roboante società futurista messa a punto nei giorni del Covid-19, i due hanno dato vita a “Io siamo già in troppi” un libretto che già dal folgorante titolo promette al possessore dell’opera balocchi di parole e il rompicapo dell’esistere in corpo e anima su questo pianeta.
“Io siamo già in troppi” vede ai testi e all’inventiva Andrea Parasiliti, ricercatore presso il Dipartimento di italianistica all’Università di Toronto, giornalista, agitatore culturale e autore di numerosi saggi e all’impaginazione Emanuele Cavarra, grafico, anch’egli scrittore e in questo caso anche editore con la sua Kreativamente Editrice.
Il libretto, stampato in soli 50 esemplari come si conviene a un libro d’artista, è assemblato in astute schede plastificate che si fanno programmaticamente beffa dell’ecologismo oggi tanto di moda. Ogni scheda, disponibile al gioco, allo scompaginamento, alla dispersione nell’ambiente, ospita una poesia di ispirazione futurista riprodotta con una deliziosa grafica retrò che ricorda le réclame dell’Idrolitina, del dado Liebig o della Magneti Marelli. E il lettore può sorseggiarne i versi come una Cedrata Tassoni, amabilmente bevuta nei sedili anteriori di una FIAT 1500 che affonda a fari accesi nel mare immenso liberato dal futuro riscaldamento globale (in una poesia accolto come una benedizione). È questa prospettiva da Giorno della Fine a dare un senso di postumità alla raccolta, prefigurando una Terra sommersa dai flutti su cui i versi plastici, scanzonati, muscolari potranno restare in linea di galleggiamento, andandosene a zonzo come barchette corazzate di polimeri. Perché se la poesia non salverà noi da questo o quel disastro, almeno salverà se stessa.
Sbaglia, tuttavia, chi pensa che i versi di Andrea Parasiliti combattano la loro battaglia esclusivamente sul terreno della disposizione tipografica, arrestandosi al livello di un rumoroso e un po’ nostalgico gioco intellettuale. I 50 possessori del libro (ma i restanti 7 miliardi di abitanti del pianeta stiano all’erta, una scheda o l’altra dell’opera può venire in loro possesso nei modi più impensati) si saranno accorti che il libro contiene bagliori di verità, tenerezze , guizzi di intelligenza non riproducibili in una recensione. Basti citare per tutti i versi contenuti in “Basin Street Blues a una prostituta di provincia” dove l’impaginazione severa e dispettosa, quasi la muraglia di un labirinto, è il prezzo da pagare per versi che non si dimenticheranno. Versi su cui il vento del futurismo si incanta, posandosi su un palmizio. E si può essere condotti dall’ampio spazio di un molo inchiostrato dalla spuma del mare, sempre più in giù, fin dentro le mutandine in cui una prostituta nasconde l’erba e ancora più in giù, fin dentro l’utero di una madre disprezzata dal mondo e poi nello spazio minimo di una culla dove presto si darà da fare dolorosamente, gioiosamente, una vita. Magari con un artista accanto.