Pubblicato il 4 Agosto 2020 | di Mario Cascone
0In cammino con il Crocifisso Risorto
Il filosofo G. Marcel parla dell’essere umano in termini di “homo viator”, sostenendo così che la persona è cammino, e quindi possibilità, desiderio, progetto. Il suo sguardo si volge in avanti, spinto dalla speranza in un futuro migliore. Si dice: “finché c’è vita, c’è speranza”, ma si potrebbe affermare pure che finché c’è speranza c’è vita. Senza speranza infatti non si vive. Quando l’orizzonte esistenziale si restringe e non si riesce a vedere più un futuro carico di speranza, si fa grande fatica a vivere. Purtroppo non sono pochi quelli che oggi conducono un’esistenza precaria, resa tale dalla penuria economica, dall’instabilità occupazionale, ma anche dalla pervasiva proposta di una mediocrità, che riduce l’uomo a mero bisogno da soddisfare nell’immediato o, peggio, a contenitore vuoto da riempire con effimeri prodotti di consumo…
Ecco dove risiede gran parte dell’angoscia che attanaglia molti uomini del nostro tempo: da un lato essi sono strutturalmente tesi al futuro, inteso come speranza di un bene da realizzare; dall’altro avvertono di essere immersi in una precarietà esistenziale, che ne fiacca le migliori energie e li costringe a vivere alla giornata, in un eterno presente ripetitivo, dimentico del passato e incapace di guardare in avanti. La precarietà strutturale, che caratterizza la nostra esistenza nei termini della creaturalità e della fragilità, si coniuga con l’altrettanto strutturale bisogno di un futuro migliore, che trova nella speranza la virtù costitutiva della persona.
È in questa tensione tra presente precario e prospettazione di un futuro migliore che possiamo anche collocare l’itinerario di fede cristiana. Esso è come il cammino di Israele nel deserto, sotto la guida di Mosé: un cammino segnato dalla fatica e dalla penuria, dal lamentoso sguardo rivolto alla terra di schiavitù, dove non si viveva da uomini liberi, ma quanto meno si aveva lo stomaco pieno… È sempre faticoso il cammino della libertà, il tragitto verso la terra promessa. Ma vale la pena di affrontarlo, se si nutre la consapevolezza che Dio è con noi, avendo deciso di non essere estraneo al nostro dolore, ma anzi di condividerlo fino in fondo.
Questa condivisione col nostro duro pellegrinaggio nella storia trova il suo culmine nella venuta di Cristo in mezzo a noi. Egli viene a vivere con noi la fatica di essere uomini liberi, risoluti a non soggiacere ad alcuna schiavitù, capaci di guardare in avanti senza lasciarsi sopraffare dalle ingiustizie e dalle violenze. Ed è per questo motivo che Gesù solidarizza con gli ultimi. I pubblicani e le prostitute, i malati e i peccatori d’ogni genere diventano la sua abituale compagnia, essendo egli venuto non per coloro che si credono giusti e sani, ma proprio per gli “ultimi”, che ovviamente non sono ben visti dai “primi”. Questi sono anzi bollati da Gesù come farisei ipocriti, pronti a giudicare gli altri dall’alto della loro presunta perfezione morale, sfacciatamente esibita e sfruttata per mantenere il loro potere sociale. È inevitabile che i “primi” a un certo punto si vendichino. Essi non possono sopportare uno che si schiera così chiaramente contro i loro interessi e smaschera apertamente la loro doppiezza. Non è questo il Messia che essi hanno aspettato a lungo: uno che non si manifesta nella gloria e nel potere terreno, ma conduce un’esistenza precaria e dichiara beati i poveri, gli afflitti, i miti…
Il cammino di Gesù verso la Croce si spiega così come itinerario di amore per l’uomo debole e malato, ma anche come denuncia dei presunti potenti della terra, che ritengono di essere liberi, ma in realtà sono schiavi della loro protervia; si definiscono giusti, mentre si nutrono quotidianamente di sopraffazione; credono di essere felici, ma sono votati all’infelicità più cupa, quella che tiene arroccati ai beni conseguiti ed è incapace di camminare verso l’autentica liberazione del cuore. E tuttavia anche costoro possono trovare spazio nel cuore del Crocifisso, se ammettono la loro penosa condizione di peccato e si lasciano da lui amare. Quello di Gesù è infatti un amore che desidera estendersi a tutta l’umanità e si manifesta come potenza di liberazione, che spinge verso la vera felicità. L’itinerario dalla precarietà alla speranza è aperto a tutti i peccatori, sia a quelli che da tutti sono ritenuti tali, sia a quelli che si autodefiniscono giusti, mentre in realtà sono più peccatori degli altri. Anche per loro, soprattutto per loro Cristo muore in croce.
Il Crocifisso attira tutti a sé, elevandoci dalla precaria condizione della terra e guidandoci verso la gloria dell’eterna beatitudine, dove ogni speranza viene colmata. Dall’alto della Croce egli appare già come il trionfatore della morte, il liberatore che ci emancipa dalla paura, dall’angoscia, dalla precarietà esistenziale in cui tutti noi ci dibattiamo. Egli non elimina il dolore, ma lo trasforma con la potenza del suo amore. Egli vince perdendo, trionfa soccombendo, risorge morendo. Ora si presenta a noi come il Risorto, il Glorificato, Colui che ci precede nella Galilea della libertà. Da lì continua ad attirarci a sé, spronandoci a proseguire nel cammino della speranza e infondendo fiducia al nostro cuore: “Coraggio – ci dice – io ho vinto il mondo!”.