Politica

Pubblicato il 15 Settembre 2020 | di Vito Piruzza

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Dal referendum una piccola riforma figlia della sfiducia nella democrazia

La nostra carta costituzionale non ha pace, dagli anni ’80 si cerca di dare un nuovo assetto alle nostre istituzioni, ma i tentativi sono tutti andati sostanzialmente a vuoto: l’unica riforma importante portata a termine è stata quella del Titolo V sulle autonomie regionali nel 2001.

In tutti questi tentativi di riforma comunque si progettava una modifica complessiva dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni, per renderle più efficienti ed adeguate ai mutamenti della società, adesso invece abbiamo davanti una “piccola” riforma, che incide solo sul numero dei parlamentari riducendoli per la Camera da 630 a 400 per il Senato da 315 a 200.

Sia chiaro è un elemento importante quello della quantificazione della rappresentanza, e su questo si è scatenato un dibattito sul fatto che nel prossimo Parlamento i territori, specie quelli più piccoli e marginali rischiano di essere meno rappresentati, ma questo argomento diventerà oggetto del dibattito che dovrà svilupparsi da subito su tutti gli effetti che a cascata derivano da questa mini riforma costituzionale.

Quali gli effetti?  Non voglio parlare degli argomenti del dibattito tra i sostenitori del SI e del NO, quella fase ormai è archiviata, ma cosa c’è da fare adesso?

L’efficienza del Parlamento non è certo data dal numero dei parlamentari, ma dalle regole che lo governano, quindi se non si vuole che questa riforma resti solo uno spot pubblicitario bisogna mettere mano a una seria riforma dei regolamenti parlamentari.

Necessaria è poi una riforma della legge elettorale perché quella vigente è tarata sul numero di seggi attuale e in quella sede si dovrà dare risposta alle perplessità sulla rappresentanza dei territori.

Necessaria sarà pure una riforma dell’art. 83 della Costituzione che regola l’elezione del Presidente della Repubblica: il Parlamento in virtù di quella norma viene integrato da 3 rappresentanti per ogni regione (1 per la Valle d’Aosta) se si diminuiscono i parlamentari del 36,5% l’incidenza della rappresentanza regionale verrà automaticamente aumentata, si ristabilirà l’equilibrio?

Quindi resta tanto da fare … Con in più una incognita non da poco relativa al clima socio-culturale che ha prodotto questa riforma!

Al di la dei tecnicismi ogni riforma è figlia del suo tempo, e viene partorita da modelli culturali che ne influenzano la nascita e gli sviluppi: nel 2001 la riforma fu una risposta (io direi abbastanza maldestra) alle istanze di “devoluzione” che provenivano dalle regioni ricche del nord e adesso ne piangiamo le conseguenze (richieste di regionalismo differenziato, gestione regionale della pandemia etc.)

Questa riforma, è inutile nascondercelo, è figlia della “sfiducia democratica”: l’argomento più forte è il risparmio economico e la diminuzione dei “posti di privilegio”, per la prima volta la riforma non parte da un atteggiamento di cura verso il Parlamento, ma sottende un atteggiamento sostanzialmente … “punitivo”!

Su questi presupposti quali riforme seguiranno?

Riusciranno i partiti che hanno scelto di votare SI e che non fanno parte della schiera populistica a indirizzare le riforme verso una visione “positiva” della democrazia parlamentare?

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