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Pubblicato il 27 Ottobre 2020 | di Carmelo La Porta

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Sognare e pensare un’altra umanità con la saggezza artigianale della pace

Quando l’allora cardinale Bergoglio ha scelto il nome Francesco una volta divenuto Papa, ha voluto indicare a se stesso e alla Chiesa l’orientamento programmatico che avrebbe contrassegnato il suo papato. Dopo la lettera enciclica Laudato sii, ispirata al cantico delle creature del Santo di Assisi, ecco ora la celebrazione della fraternità e dell’amicizia sociale nell’ultima enciclica Fratelli tutti, espressione con la quale San Francesco amava esprimere l’essenziale rapporto di unità che lega il genere umano.

«San Francesco, – scrive il Pontefice nelle prime battute – che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi».

Pace e fratellanza con gli ultimi della società sono i continui inviti che attraversano le righe di questa enciclica e teorizzano un modello di pontificato e di Chiesa che Papa Francesco sta testimoniando quotidianamente.

Il tema della pace nell’enciclica Fratelli tutti è esplicitato in una riflessione tanto semplice quanto profonda e universale. L’esempio ancora una volta è preso da San Francesco che «non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio». Il primo nemico della pace è l’orgoglio e l’imposizione del proprio punto di vista, quando è frutto di dottrine che perdono di vista il senso più profondo della fraternità umana per proporre modelli ispirati a «nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale», al disinteresse per il bene comune, «al bisogno di consumare senza limiti», a «forme di individualismo senza contenuti».

La pace e la fratellanza, invece seguono altre dinamiche e Papa Francesco le indica mutuando l’esempio di San Francesco il quale in un «mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, dove le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti (…) ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti».

Operare per la pace vuol dire seguire la logica del seminatore prima e dell’artigiano poi. La pace va seminata come frutto della propria pace interiore e come liberazione dal desiderio di dominio sugli altri. Va pensata come superamento della logica della «cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire l’incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, – dice il Papa – chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti». Chi semina ha speranza, ha fiducia che il raccolto compenserà i sacrifici del duro lavoro, guarda con ottimismo sia la pioggia che bagna e fa germogliare, sia il sole che matura ciò che la generosità della terra fa crescere. L’operosità della pace, seguendo la beatitudine evangelica, è l’atteggiamento tipico dell’artigiano che riesce a trasformare una materia grezza e informe in un manufatto utile, bello persino prezioso, mettendo a frutto la saggezza della propria competenza e la raffinatezza della propria abilità. La consapevolezza dell’artigiano è l’originalità e l’unicità del proprio lavoro. Il mondo creato dall’artigiano non è uniforme, ma ricco di sfumature. Ugualmente, afferma Papa Francesco «il falso sogno universalistico della fredda globalizzazione finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!».

La pace esige questa “saggezza artigianale” affinché non sia solo una illusoria e vuota enunciazione di principio. È la capacità di cogliere nei particolari la bellezza delle sfumature che esaltano i colori della dignità della famiglia umana. L’artigiano con il lavoro rende il sogno una realtà perché coglie con lo sguardo creativo l’opera finita laddove l’occhio superficiale vede solo materia informe.

«La pace sociale è laboriosa, artigianale – afferma Papa Francesco – . Sarebbe più facile contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di risorse. Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia di una pace reale e solida. Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!»

Agli “artigiani di pace” il Papa affida la missione di «avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia».

«I processi effettivi di una pace duratura – afferma Papa Francesco – sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiana. Le grandi trasformazioni non si costruiscono alla scrivania o nello studio. Dunque, ognuno svolge un ruolo fondamentale, in un unico progetto creativo, per scrivere una nuova pagina di storia, una pagina piena di speranza, piena di pace, piena di riconciliazione». Con il lavoro di tanti artigiani di pace si costruisce una vera “architettura” della pace nella quale «intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza» e intervengono anche tutte le religioni che hanno nel profondo della propria tradizione iscritto il comandamento della pace.  Il concorso di tutti all’obiettivo comune della pace, quindi, «non richiede di omogeneizzare la società, ma sicuramente ci permette di lavorare insieme. Può unire molti nel perseguire ricerche congiunte in cui tutti traggono profitto. Di fronte a un determinato obiettivo condiviso, si potranno offrire diverse proposte tecniche, varie esperienze, e lavorare per il bene comune».

L’invito di Papa Francesco è rivoluzionario, controcorrente, apre le porte ad altra logica: «se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne. Perché la pace reale e duratura è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana».

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Autore

Direttore dell'Ufficio Diocesano per l'insegnamento della Religione. Ha insegnato religione cattolica presso diversi istituti della città e attualmente presso l'I.I.S. "Galileo Ferraris" di Ragusa. E' docente di Teologia Morale presso la Scuola Teologica di Base della Diocesi di Ragusa e componente del direttivo della stessa scuola.



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