Società

Pubblicato il 28 Ottobre 2020 | di Vito Piruzza

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Il diritto a non lasciare la propria terra o di andare alla ricerca di opportunità

Un’enciclica è uno di quegli atti topici che caratterizzano un papato sia in riferimento al momento storico in cui si realizza, ma ancor di più come segno lasciato nella storia e Papa Francesco vuole fermamente caratterizzare la sua missione nel mondo in termini sociali.

Ancora una volta l’incipit è un omaggio al Poverello di Assisi e come è nello stile di questo Papa con un linguaggio diretto, semplice e scevro da ogni ambiguità intitola il primo paragrafo “Senza Frontiere”; si sa un Papa parla al mondo, la sua lettera trascende i confini delle nazioni, ma il messaggio va oltre, e non parla solo delle frontiere “fisiche” in cui ogni popolo cerca protezione, ma delle frontiere culturali, psicologiche che rinchiudono l’uomo dentro appartenenze che li separano da altri uomini, Francesco è il santo che non ha nessuna esitazione a infrangerle queste barriere andando ad incontrare il sultano.

Il cristiano non si arrocca, Francesco “non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”. E il Papa dice chiaramente che questa enciclica vuole essere un contributo di riflessione per tutti gli uomini di buona volontà.

Ma il discorso sulle frontiere nazionali non è eluso, viene affrontato con chiarezza, ma coerentemente con le premesse, senza preconcetti.

In primis “va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra” ma se questo diritto non può essere esercitato, tutti gli esseri umani hanno pieno diritto “alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia”.

Le tante citazioni del Vecchio Testamento in cui il rispetto dello straniero traeva origine dall’esperienza del popolo ebraico a sua volta straniero in Egitto, dovrebbe interpellare in modo diretto noi Italiani che popolo di migranti siamo da secoli.

Con chiarezza è espressa la posizione del Papa: “In alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi […]È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede”.

Ma c’è comprensione per i fenomeni “Comprendo che di fronte alle persone migranti alcuni nutrano dubbi o provino timori. Lo capisco come un aspetto dell’istinto naturale di autodifesa”, anche se si confida che i Paesi più sviluppati come l’Europa “aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, [ha] gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti”.

Fa riflettere il fatto che proprio un mese fa, prima della pubblicazione dell’enciclica, in un convegno tenuto a Pozzallo, una delle “porte d’Europa” il vescovo Staglianò, il sindaco Ammatuna e l’europarlamentare Bartòlo la sintesi sia stata proprio il dovere dell’accoglienza e l’equilibrio tra i diritti di chi accoglie e di chi deve essere accolto.

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