Cultura

Pubblicato il 4 Dicembre 2020 | di Saro Distefano

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Dalle lamiere della antica fabbrica emerge il Cristo del lavoro quotidiano

Una figura che già da lontano impressiona. Chiama. Dipinto su un enorme silos per la calce idrata, il Crocifisso di Luis Gomez de Teran attrae, affascina, fa fermare i tantissimi visitatori di “Bitume Platform”, la iniziativa che Vincenzo Cascone e Manfredi Ancione hanno inaugurato lo scorso ottobre. Un flusso ininterrotto di visitatori ha girato tra i capannoni, i forni, i nastri trasportatori e i silos della Antonino Ancione spa, la fabbrica di mattonelle di asfalto, bitume e calce idrata che ha chiuso i battenti già sette anni fa.

All’ultimo degli Ancione e all’inventore di Festiwall (il festival di street art che ha arricchito Ragusa di 33 murales ben distribuiti tra centro urbano e periferia) il merito di avere creato quello che, almeno da queste parti, è certamente un unicum: gli immensi spazi della ex fabbrica hanno ospitato infatti oltre venti artisti – tra i migliori al mondo – per realizzare trentacinque opere tra sculture e pitture murarie. Ne è risultato un enorme museo a cielo aperto ricco di suggestione, anche perché all’aspetto puramente artistico-estetico, Cascone e Ancione hanno affiancato la vicenda storica della fabbrica e dell’intero comparto minerario asfaltico che ha reso celebre Ragusa in tutto il mondo.

Le opere sono tutte di altissimo livello, le concettuali come le realistiche. Quella che ha stimolato maggiormente le riflessioni dei visitatori è probabilmente “Corpus Homini” di de Teran (l’artista è romano ma, in ossequio ad una pratica diffusa tra i cosiddetti “writers” e gli stessi artisti di murales, si utilizza sempre un nome d’arte). Quel crocifisso dovrebbe essere, con un latino corretto, “Corpus Hominis”, ma l’artista romano ha leggermente modificato in “Homini” per avvicinarsi almeno foneticamente a “domini”.

Altro oltre dieci metri, il corpo di Gesù in croce è impressionante. La sfericità del silos metallico evidenzia il movimento del busto trafitto. E a completare e amplificare il realismo dell’opera, Luis Gomez de Teran ha avuto una intuizione apprezzatissima: dal costato trafitto del Cristo il sangue è reso in maniera tridimensionale tramite una piccola colata di bitume, nero, solido, impressionante, doloroso.

Quel Crocifisso è certamente un’opera d’arte. Resa ancora più significativa dal contesto. «Ho scelto la crocifissione – spiega il pittore de Teran – che è forse la più rappresentata delle immagini sacre cristiane, proprio perché in un contesto come questo, ovvero una antica fabbrica abbandonata, quel Cristo rappresenta il dolore del lavoro quotidiano, dal quale viene agli operai e agli imprenditori il pane quotidiano».

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Autore

Nato a Ragusa nel 1964 è giornalista pubblicista dal 1990. Collabora con diverse testate giornalistiche, della carta stampata quotidiana e periodica, online e televisive, occupandosi principalmente di cultura e costume. Laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, tiene numerose conferenze intorno al territorio ibleo.



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