Pubblicato il 26 Dicembre 2020 | di Redazione
0Il Natale 2019 che sfuma nei ricordi La gioia e l’amore che volevo esistesse
Io del Natale 2019 ricordo ogni sospiro e ogni respiro. Tutte le parole che ci dicemmo con i miei figli, Francesca nella mia stanza a guardare e scegliere foto antiche dei nonni, le cornici messe a loro, i pomeriggi lunghi insieme e il mio dispiacere per qualcuno che avrei voluto e che non c’era, quel qualcosa che mi sfuggiva. E poi la mia amica Maria che adesso non vive più da settembre, accanto al mio letto con il suo regalo nelle mani e le focacce fumanti nel piatto e le sue dita sui capelli nel vezzo tipico che aveva, mentre si guardava allo specchio sul capezzale e il suo sfuggire nella fretta che la perseguitava e che adesso non può più avere. E il sole alla finestra della cucina, con i mandarini sbucciati di mattina, il caffè nella tazza Illy mentre io e mia figlia non ci guardavamo negli occhi per pudore sottaciuto ma eravamo felici che fossimo con la badante tanto amata che friggeva calamari dorati per il pranzo. E i nostri pomeriggi lenti e sonnacchiosi, e il mio prendere medicine per resistere, e la sofferenza per ogni cosa che avevo e che anche mancava. Mio figlio sul divano, il braccio sugli occhi, il suo lasciarci da sole madre e figlia finalmente. E poi il trionfo di anelletti in crosta come nel Gattopardo, le arancine col ragù marrone, il biancomangiare di crema con le mandorle abbrustolite, i regali stavolta insolitamente ricevuti. La gioia. L’amore che volevo esistesse. E adesso? Adesso?
Una porta che si chiude alle spalle sulle ombre e i rumori della notte
Tremo un poco al rientro: l’androne è semibuio, la scala larga in un chiarore di rossa candela che va spegnendosi ai piani più alti. Le vetrate dagli spicchi multicolori che di giorno, ai raggi del sole, proiettano lampi da caleidoscopio selle pareti scrostate e le ingentiliscono e tingono di lucide pennellate, sono ora come spente e ombre si acquattano dietro e i rami degli alberi nell’orto sbattono contro di esse in un mulinello di vento improvviso che viene dal mare, dalla notte fonda, notte di natale che mette paura. Salgo veloce, trattengo il respiro, e mi aggrappo alla inferriata arricciata; mi appoggio al muro e guardo in alto il soffitto trasparente: una luna sola e lontana naviga fra le nuvole veloci e lancia saette di spada, d’acciaio, fin qui sulle scale. Ma la porta si apre e mi calmo: un odore di piatti gustosi, un vociare di allegre risate, di toni più alti, un presepe accovacciato fra due esili divani mi accolgono come in largo sorriso. E chiudo la porta alle spalle, alle ombre notturne, ai rumori sottili, al tintinnare di vetri, al fruscio di un bosco nato in un orto, così, improvvisamente in una notte di Natale.
Letizia Dimartino