Pubblicato il 22 Marzo 2021 | di Alessandro Bongiorno
0Dal rapporto Caritas sulle migrazioni una realtà che non lascia indifferenti
Non arrivano più con il barcone, il loro numero compensa appena quello dei ragusani che ogni anno lasciano la nostra terra, il passaporto è prevalentemente di Paesi Ue o comunque europei. Sono alcune istantanee del rapporto Immigrazione che annualmente la Diocesi di Ragusa, con i suoi uffici Caritas e per la Pastorale delle Migrazioni, fornisce alla riflessione del territorio. Sfatando un altro dei tanti luoghi comuni che impoveriscono il confronto su un tema così importante, si può anche desumere che la percentuale maggiore dei migranti accolti nel nostro territorio siano battezzati e si professino cristiani e cattolici. Purtroppo restano critiche, e l’emergenza Covid le ha persino aggravate, le condizioni di vita e di lavoro.
Numeri in pareggio. In provincia di Ragusa, le iscrizioni dall’estero, negli ultimi 5 anni, si sono mantenute sempre su un livello di poco superiore alle 2.000 unità. Considerati tutti i movimenti migratori dei cittadini stranieri (nascite e morti, cancellazioni e iscrizioni per altri comuni) si può dire che annualmente la nostra provincia si arricchisce di poco più di 1.000 residenti non italiani. È un dato insufficiente a colmare il deficit di popolazione(la differenza tra nascite e morti che nel 2019 ha toccato quota -542) e dalle migrazioni interne e verso l’estero di nostri concittadini. I residenti della provincia di Ragusa che sono emigrati verso paesi esteri sono in crescita continua. Erano 353 nel 2012 e sono diventati 932 nel 2019, con un incremento del 164%. Ma i nostri conterranei che vivono e lavorano fuori dall’Italia sono sicuramente in un numero maggiore, soprattutto tra i giovani. Al 31 dicembre 2019 i ragusani ufficialmente iscritti all’Anagrafe italiana dei residenti all’estero (Aire) erano 31.276 e rappresentano una quota del 9,8% della popolazione provinciale. I cittadini stranieri residenti in provincia, infatti, sono 31.174 con un’incidenza del 9,7% sulla popolazione. Un equilibrio numericamente perfetto.
Le provenienze. La prima nazionalità a essere rappresentata in provincia è quella romena (9135 persone) che rafforza la sua presenza, precedendo i migranti con passaporto della Tunisia (9040), Albania (4686), Marocco (1660), Polonia (695). I romeni sono la componente più numerosa ad Acate, Chiaramonte Gulfi, Giarratana, Monterosso Almo e Vittoria. Colpisce soprattutto il dato di Acate e Vittoria dove insiste una presenza storica di cittadini tunisini evidentemente sostituita, con meccanismi anche di concorrenzialità sul mercato del lavoro, dai romeni. A Scicli e Ragusa prevale la comunità albanese, a Modica quella marocchina. Se le principali componenti nazionali ci rimandano sicuramente a un impiego in agricoltura, in edilizia o nel commercio, non è da trascurare la presenza di cittadini polacchi e ucraini. In questi due casi le forti differenze di presenza legate al genere fanno pensare a un impiego rivolto alla cura e al badantato. Nella comunità polacca, infatti, oltre il 78% delle persone sono di sesso femminile; in quella Ucraina la percentuale di donne si attesta al 76%.
Le peculiarità di Vittoria, Acate e Santa Croce. Il Comune con più persone con cittadinanza non italiana resta Vittoria con 7.233 residenti che assorbono l’11,1% di tutta la popolazione cittadina, seguito da Ragusa con 5.668 in rappresentanza del 7,7% del totale dei residenti. Il piccolo comune di Acate, con 3.849 cittadini e il 33,5% di popolazione straniera rappresenta un caso straordinario. Questi numeri, infatti, collocano Acate al secondo posto in Italia tra i comuni con la maggiore incidenza di popolazione straniera. In questa stessa graduatoria troviamo al quinto posto Santa Croce Camerina, con un’incidenza del 23,6%.
Le condizioni di vita e di lavoro. Sono uomini, donne e bambini che vivono in condizioni dure, segnate da forme di sfruttamento lavorativo, abitazioni fatiscenti, segregazione, evasione scolastica e abbandono che determinano anche episodi di delinquenza e devianza. Oggi le condizioni dei lavoratori sono significativamente migliorate rispetto a 5 o 6 anni fa e l’attenzione dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti è più elevata. «Non si può tacere, tuttavia, che esistono – rileva il report della Caritas diocesano – ancora casi di grave sfruttamento lavorativo, di lavoratori completamente in nero, di bambini in età scolare costretti a lavorare per aiutare la famiglia, di degrado sociale che riguardano ancora migliaia di persone».
Gli sbarchi falso problema. Anche se assorbe gran parte dell’attenzione mediatica, politica e dell’opinione pubblica, il cosiddetto fenomeno degli sbarchi sembra avere poco peso nell’aumento delle presenze in provincia di Ragusa. L’impatto degli arrivi via mare in provincia di Ragusa è modestissimo (circa 200 persone ogni anno).
I bambini e la scuola. Le nascite di bambini con genitori entrambi stranieri sono state 430 con una percentuale del 16,4% del totale. Gli alunni stranieri presenti nelle scuole della provincia di Ragusa sono 4.899 e rappresentano il 10% della popolazione scolastica provinciale. In Sicilia uno studente straniero su 5 frequenta nella provincia di Ragusa. Interessante il dato sulle scelte che i ragazzi con cittadinanza non italiana compiono dopo la fine della scuola secondaria di primo grado. Contrariamente a quanto succedeva nel recente passato, da almeno un quinquennio le scelte riguardanti la scuola superiore non si rivolgono più solo agli istituti professionali o tecnici, ma riguardano anche e in egual proporzione i licei.
L’emergenza Covid. Nelle campagne le condizioni di vita e di lavoro di migliaia di persone che vivono nella fascia trasformata sono peggiorate e il virus ha reso ancora più difficili le condizioni di vita e di lavoro. A pagare il prezzo più alto sono state le lavoratrici e i lavoratori privi di contratto. Questo ha significato per diverse famiglie (soprattutto quelle romene di etnia rom) la totale mancanza anche del minimo necessario alla sussistenza. La distanza dai centri abitati, la mancanza di mezzi di trasporto pubblici e privati e l’impossibilità di ricorrere ai caporali dei trasporti ha nei fatti segregato altre centinaia di persone in casupole prive degli standard abitativi minimi, in alcuni casi in assenza anche di acqua potabile e cibo, con il solo sostegno del Presidio Caritas e della rete del terzo settore che provvedevano settimanalmente a consegnare cibo e a orientare i lavoratori per l’ottenimento delle misure di ristoro e dei sussidi nazionali, regionali e comunali. Particolarmente difficile è stata la condizione delle donne, anche quelle non lavoratrici. Sulle loro spalle è gravato per intere giornate il peso della cura di mariti e figli, dovuto alla riduzione o alla mancanza del lavoro e alla chiusura delle scuole. Conseguenze pesantissime si sono avute anche sui minori che hanno perso tutti i contatti con le istituzioni scolastiche e i compagni che rappresentavano l’unico ancoraggio col mondo esterno all’azienda agricola e alla propria famiglia d’origine.