Pubblicato il 13 Aprile 2021 | di Mario Cascone
0A cinque anni dall’Amoris laetitia. Rileggiamola nella sua ricchezza
Son passati cinque anni dalla pubblicazione della “Amoris laetitia”, un documento di Papa Francesco che ha creato un vivace dibattito dentro e fuori della Chiesa. Vale la pena di vedere i tratti più salienti di questo testo, che è stato sia esaltato che contestato.
Nella lettura di quest’esortazione apostolica vanno evitati due estremismi: quello di pensare che essa non ha cambiato niente e quello di ritenere, viceversa, che ha rivoluzionato tutto. Risulta dunque opportuno accostarsi al testo cercando di leggerlo nella sua ricchezza e nella costante attenzione pastorale che esso rivela in ogni sua parte.
Probabilmente la novità più rilevante della Amoris Laetitia riguarda l’atteggiamento con cui affrontare le varie situazioni matrimoniali che un tempo erano definite “irregolari” e che oggi si preferisce chiamare “complesse”, “difficili” e tali comunque da suscitare un necessario discernimento da parte delle persone interessate e dei pastori.
Per la verità questo richiamo ad un nuovo atteggiamento nei confronti delle condizioni coniugali difficili e dei cosiddetti “legami spezzati” non è una novità assoluta. Già da tempo infatti sono scomparsi dal vocabolario ecclesiale termini come “infames” e “publice indigni” con cui il codice di diritto canonico del 1917 (in vigore fino al 1983) bollava le persone che si trovavano in queste situazioni. Anche Giovanni Paolo II nella “Familiaris consortio” sosteneva che l’ordine morale non può essere per l’uomo qualcosa di mortificante e di impersonale, ma deve tenere conto della legge della gradualità nell’itinerario storico di compimento del bene.
Riprendendo la riflessione della Familiaris consortio, Papa Francesco spiega che la legge della gradualità non è la gradualità della legge. Questo significa che la categoria della “gradualità” non si applica alla legge morale, la quale è uguale per tutti, ma al cammino del soggetto in ordine all’osservanza della norma. Le parole di Francesco, calate nella pratica pastorale, ci fanno dire che in alcuni casi le persone non sono in grado di capire dove sta il peccato. Immersi come sono nella cultura dell’individualismo, del provvisorio, del consumismo affettivo, dei legami liquidi, molti fanno veramente fatica a comprendere perché la convivenza o la nuova unione siano un peccato. In questo quadro Francesco ritiene «preoccupante che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e convivano rinviando indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono fine all’impegno assunto e immediatamente ne instaurano uno nuovo».
L’approccio con queste persone non può essere di tipo moralistico, ma deve mirare a far maturare una graduale comprensione dei valori in gioco, attraverso una sapiente azione educativa che punti a far capire la ricchezza e la bellezza del matrimonio sacramentale.
Questo processo riguarda più in generale tutta la vita morale, che deve essere fondata su una coscienza prudenziale, capace di operare un discernimento pratico riguardante il bene possibile che si può raggiungere in una determinata situazione. Francesco sostiene che dobbiamo promuovere libertà responsabili, che sappiano scegliere con buon senso e intelligenza.
L’impegno nel discernimento riguarda anche il pastore e il confessore, i quali non possono limitarsi ad applicare una norma in modo impersonale, ma devono sforzarsi di conoscere le varie situazioni e le singole persone, in modo da proporre ad ogni fedele un adeguato itinerario per il suo personale discernimento e per le decisioni che egli dovrà prendere in coscienza.
Certamente il discernimento è faticoso, sia per il pastore che per il fedele. Si vorrebbero spesso delle “ricette” pronte all’uso o delle soluzioni chiare, applicabili facilmente in tutti i casi. Il discernimento va fatto utilizzando le tre pratiche che il Papa elenca nel capitolo ottavo di Amoris laetitia: accompagnare, discernere e integrare la fragilità. Si tratta di accompagnare per discernere, al fine di integrare tutte le persone interessate nella vita della Chiesa.
Di assoluto rilievo è l’affermazione fatta dal Papa al n. 301: «La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante». Francesco sottolinea, a questo riguardo, che ci si può trovare in condizioni concrete che non permettano di agire diversamente e di prendere decisioni che facciano cadere in una nuova colpa. Si capisce perciò che il grado di responsabilità non può essere uguale per tutti e che «a causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa». Un aiuto che in alcuni casi può essere anche quello dei sacramenti.
Naturalmente qui il Papa si riferisce alla classica distinzione fra il disordine morale oggettivo e la responsabilità soggettiva. In forza di questa distinzione si può dire che, anche nei casi in cui sul piano oggettivo ci troviamo di fronte ad un’unione coniugale non celebrata sacramentalmente, questa situazione può essere giudicata con diverse gradazioni di colpevolezza dei soggetti coinvolti.
L’ottica generale in cui si pone l’Amoris laetitia è quella della misericordia pastorale, che si traduce di fatto nel primato della persona e nel suo paziente accompagnamento verso la pienezza dell’ideale morale. Agire con misericordia in tutta la prassi pastorale non significa cedere ad una facile indulgenza, che tenda a minimizzare le responsabilità di ognuno o a configurare una sorta di morale “dalla manica larga”. Significa piuttosto richiamarsi alle esigenze alte del Vangelo, che spesso si scontrano con la nostra fragilità.