Pubblicato il 13 Aprile 2021 | di Redazione
0Stupore e sorpresa
Hanno suscitato stupore e sorpresa, all’interno della comunità ecclesiale, le parole che il direttore dell’Asp di Ragusa ha affidato a un post su un social media. Un post nel quale si rivolge ai componenti della nostra realtà ecclesiale utilizzando termini come «sprovveduti» o «fenomeni», per riferire a tutti che alcuni componenti di un coro erano rimasti contagiati dal virus.
La sorpresa ha riguardato la forma, i contenuti e i toni, ma anche lo stile, non corrispondente a quello che si era sempre apprezzato nel direttore generale.
Chi sarebbero questi «sprovveduti», questi «fenomeni»?
Sono i componenti di un coro parrocchiale, che non ha preso parte alle celebrazioni pasquali e della Settimana Santa perché, al primo esito positivo di un tampone, tutta la corale si è posta subito in quarantena: è questo un agire da «sprovveduti», o da «fenomeni», o un comportamento che denota mancanza di senso civico e responsabilità?
Senza voler alimentare polemiche – che non giovano a nessuno – la stessa corale e lo stesso parroco hanno dimostrato, come giorni dopo si è chiesto con un sarcasmo forse eccessivo il direttore generale, che sì, si «può fare a meno di un coro». E se ne è fatto realmente a meno, perché quel coro non ha animato alcuna celebrazione dal momento in cui si è verificato il primo caso di positività. A questo va aggiunto che, per tanti mesi, le celebrazioni liturgiche hanno avuto luogo in chiese vuote, senza fedeli e senza – ovviamente – l’accompagnamento del coro. Se si può fare a meno del coro, forse si potrebbe anche fare a meno delle ironie sul «coronavirus».
Sin dai giorni in cui si è manifestata la pandemia, la Chiesa di Ragusa è stata al fianco delle istituzioni civili e delle autorità sanitarie. Al fianco – e spesso anche un passo avanti – riuscendo a raggiungere e assistere quanti facevano fatica a essere raggiunti e assistiti da chi aveva questo specifico compito. Ed è stata al fianco delle autorità anche quando si è trattato di invitare i fedeli ad attenersi in modo scrupoloso a tutte le norme di contenimento dei contagi. Lo ha fatto in maniera chiara, netta ed inequivocabile, rinunciando, anche, a celebrazioni che manifestano l’essenza stessa dell’essere Chiesa. Ma la Diocesi, come hanno sottolineato sia il vescovo emerito che l’attuale amministratore apostolico, ha ritenuto prioritario che la salute andasse preservata. C’è stato l’impegno a osservare il protocollo sottoscritto dalla Conferenza episcopale italiana con il Ministero dell’Interno (che prevede anche la presenza del coro in chiesa) e, ancor di più, ad agire con prudenza e senso di responsabilità in ogni occasione: i cappellani ospedalieri hanno portato conforto e assistenza a tutte le persone ricoverate negli ospedali, mantenendo i contatti con le famiglie; gli uffici pastorali della Diocesi hanno moltiplicato il loro impegno in tutti i campi segnati dalla pandemia; le parrocchie sono state avamposto insostituibile nel territorio; il volontariato è stato all’altezza di un compito che è andato – spesso – oltre i suoi confini. Comportamenti, questi, apprezzati da tutte le autorità, che hanno avuto modo anche di partecipare alle celebrazioni, e da ogni osservatore che abbia guardato con occhi limpidi e sinceri alla realtà.
Non c’è dubbio che, in questi 14-15 mesi di pandemia, qualcosa anche all’interno della comunità ecclesiale possa essere stato sottovalutato o aver dato luogo ad errori: anche questa circostanza è stata l’occasione per condividere l’invito a una ulteriore, maggiore attenzione e prudenza per quanto accade negli spazi di competenza delle parrocchie e durante le celebrazioni. E non certo perché la comunità ecclesiale sia una comunità di «fenomeni» o «sprovveduti», ma perché siamo consapevoli dei particolari doveri che abbiamo in questa difficile situazione, del fatto che il valore della vita umana – di ogni vita umana – è sacro e perché, come tutti, desideriamo ardentemente che questa pandemia cessi al più presto di provocare altre sofferenze.
Il Papa ci ha ricordato che, più che mai in questo momento storico, «siamo tutti sulla stessa barca». Tutti, nessuno escluso.
Diocesi di Ragusa, realtà parrocchiali, sacerdoti, laici, associazioni, volontari non vanno a caccia di applausi o medaglie. Un po’ di rispetto – quello sì – crediamo sia dovuto.