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Pubblicato il 29 Luglio 2021 | di Vito Piruzza

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L’umiliazione non è una pena accessoria. Umanità e dignità anche nelle carceri

I fatti assurti a cronaca per via dell’inchiesta giudiziaria che ha coinvolto il carcere di Santa Maria Capua Vetere e la solidarietà espressa da alcuni politici agli agenti sotto inchiesta ha alimentato un dibattito a mio avviso molto più ampio di ciò che è emerso sulla stampa e che costituisce solo la punta dell’iceberg.

In effetti bisogna dire che gli agenti di polizia penitenziaria svolgono un ruolo che ha una complessità specifica, di fatto, anche se dall’altra parte delle sbarre, condividono una situazione di per sè pesante, e anche se dura solo il tempo del servizio costituisce una criticità. Un lavoro difficile quindi e un lavoro delicato, come tutti i lavori che si rivolgono a un’umanità dolente: ospedali, comunità di recupero o di assistenza e carceri.

In questo senso senza dubbio questi lavoratori devono avere da parte della comunità civile la giusta considerazione e anche la piena solidarietà, che va data a chi svolge con coscienza il proprio ruolo delicato.

Ma la situazione di Santa Maria Capua Vetere, i cui fatti sono in via di accertamento e dei quali quindi non esiste ancora una verità giudiziaria, è finita sotto i riflettori non per la difficoltà degli operatori di svolgere il proprio ruolo, ma perché sembrerebbe che si sia abbondantemente travalicato il proprio ruolo infliggendo ai detenuti inermi umiliazioni e percosse.

È bene chiarire che il sistema penitenziario ha già un suo regolamento che con un mix di bonus e penalizzazioni sanziona eventuali atteggiamenti inopportuni dei detenuti, perché in una comunità come quella carceraria è ovvio che viga una attenzione ai comportamenti molto stringente.

Quando i detenuti hanno comportamenti non adeguati scattano penalizzazioni che impediscono di fruire di sconti di pena, allontanano benefici penitenziari etc., sanzioni che i detenuti temono molto perché sostanzialmente allungano la pena detentiva o rendono l’espiazione più pesante. Quindi se i detenuti di quel carcere andavano sanzionati, bastava applicare le regole già previste.

Esiste un discrimine tra la punizione e l’arbitrio ed è costituito dallo stato di diritto, una conquista imprescindibile di una democrazia! Nessun cittadino può sentirsi al di sopra della legge.

E tra la pena, anche la più dura, e l’umiliazione esiste un discrimine costituito dall’umanità: si può essere rigorosi nel sanzionare chi commette errori, ma non si può privare una persona della propria dignità.

Riguardo poi al cliché che sappiamo molto diffuso relativo alle “forze dell’ordine con le mani legate”, “all’impossibilità di contrastare il crimine con le leggi attuali”, spesso alimentata da letteratura e filmografia di oltre oceano, e che tanto viene cavalcato a fini elettorali, inviterei a riflettere se le società proposte a modello siano più o meno violente della nostra (le statistiche in tal senso sono impietose), ovviamente con tutti i limiti e le possibilità di miglioramento che la nostra società indubbiamente ha.

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