Società

Pubblicato il 24 Settembre 2021 | di Emanuele Occhipinti

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La pesca in un mare che ribolle. La difficile via dell’economia blu

Cosa è la vita dei pescatori? Mimmo Asaro, pescatore di Mazara del Vallo, ci ospita a bordo del suo peschereccio, il Nuovo Osiride. «Questo peschereccio è l’unico regalo che ho saputo fare a mio padre, dopo che i libici ci sequestrarono l’Osiride il 22 marzo del 1996», racconta Mimmo. «Ci tennero prigionieri per 6 mesi; tornammo senza l’Osiride”. Con caparbietà il giovane Mimmo ricomprò un peschereccio e gli diede lo stesso nome in memoria di quello del padre. «Sono rientrato proprio oggi con il mio equipaggio dopo 35 giorni di mare; siamo stati nelle acque greche a pescare il gambero rosso». A Mazara del Vallo la maggior parte delle imbarcazioni possiede una licenza per la pesca a strascico ma le difficoltà lamentate da Mimmo riguardano tutta la blu economy, da Scoglitti a Portopalo, da Pozzallo a Sciacca. I giorni e le notti in mezzo al Mediterraneo sono scanditi dalla “cala” delle reti, dalla ricerca della profondità pescosa. Ci ricorda le parole del padre “la vita di mare è mangiare quando non si ha fame e dormire quando non si ha sonno” e ci testimonia quanto è usurante e pericoloso stare in mare: eppure questo lavoro non è riconosciuto tale dallo Stato. Una politica assente e disattenta si ostina a non volere conoscere il mare, a non voler influire nel panorama geopolitico del Mediterraneo. Asaro è un mare in tempesta: «Vent’anni fa eravamo 360 pescherecci, ora poco più di 70. Noi lavoriamo con le regole nazionali ed europee: altri lavorano senza regole e ci battono sui prezzi del pescato. La Marina italiana non ci protegge più e i libici ci prendono a mitragliate. Siamo soli in una lotta senza fine». E si apre alle emozioni: «Le nostre mogli pregano sempre quando partiamo: Bedda Matri speriamo ca’ torna!” A Bedda Matri, la Madonna, la cui immagine campeggia nel suo peschereccio tra la plancia di comando e gli alloggi dell’equipaggio. «La nostra emozione è entrare nel porto dopo 40 giorni di battuta. Noi non vediamo crescere i nostri figli».

Il Mediterraneo generoso non è solo storia di sbarchi clandestini. Ne abbiamo certezza quando si infiammano nei racconti tragici dei sequestri. Prende la parola Peppe Giacalone: il figlio Giacomo era tra i 18 pescatori di Mazara sequestrati un anno fa. «Il primo settembre dello scorso anno – racconta – alle 9 di sera, un gruppo di pescherecci sta battendo i fondali davanti al golfo di Sirte, 34 miglia a nord di Bengasi: lì si trova il gambero rosso. I libici arrivano, sparano all’impazzata sequestrano quattro pescherecci e 18 pescatori. Tra essi c’è mio figlio, tenuto prigioniero con gli altri per 108 giorni, torturato, seviziato, minacciato di morte… Il cuore delle nostre donne e la loro protesta ha colpito anche il Papa: sennò difficilmente avrei rivisto mio figlio…».

«Noi non sappiamo fare altro che pescare» conclude Mimmo Asaro. «Vogliamo farlo in sicurezza: a bordo dei nostri pescherecci, in un Mediterraneo in pace, in un Mediterraneo pulito».

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Autore

Laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lavora dal 1990 presso Banca Agricola Popolare di Ragusa, dove attualmente dirige il Mercato Imprese. E’ impegnato nell’associazionismo e nel volontariato nazionale ed internazionale, settori per i quali svolge anche il ruolo di formatore. Già presidente diocesano di Azione Cattolica, è, in atto, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Ragusa e vicepresidente Unitalsi Ragusa.



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