Vita Cristiana

Pubblicato il 3 Febbraio 2022 | di Emanuele Occhipinti

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Il vescovo che predica con lo stile del catechista

«Siate gentili con chiunque incontrate. Trattatevi con gentilezza e con affetto l’un l’altro, tra tutti voi che lavorate o prestate il vostro servizio qui. Siate gentili e disponibili con chiunque viene negli uffici di Curia; ognuno  deve andarsene con sorriso sulle labbra. Non voglio che nessuno lavori qui o esca da qui con l’idea di essere trattato male». A margine degli auguri di Natale agli operatori della Curia diocesana, il vescovo monsignor Giuseppe La Placa ha riservato ad essi una meditazione natalizia che assomiglia ad una lezione di management. Meditazione, spunti formativi, preghiera: il vescovo ha rivoluzionato le abitudini di Curia ed ha esortato i suoi più stretti collaboratori ad atteggiamenti gentili e cortesi ed all’uso di parole adeguate e rispettose. L’Angelus è allora occasione per interrompere il lavoro e riunirsi comunitariamente in preghiera, sottolineando le priorità del quotidiano. La Novena di Natale è una bella iniziativa che coinvolge tutti nell’attesa gioiosa della Natività. Tutti insieme, attorno al vescovo che finora non ha perso un’occasione, anche la più simpatica come un augurio di compleanno o una ricorrenza, per esercitare il ministero di catechista, comunicando il forte legame tra la Parola e la realtà, la fede ed il quotidiano di ciascuno.

Non pensi il lettore che chi scrive stia compiendo un atto di adulazione verso il vescovo. È vero invece che trovo alquanto piacevole, ed un po’ insolito, questo chiaro ed inequivocabile invito alla gentilezza quale atteggiamento performante delle persone in un particolare contesto di lavoro quali sono gli uffici di Curia, ma in generale tutti gli ambienti ecclesiastici.

La gentilezza è indispensabile per costruire relazioni. Essa permette la creazione di fiducia, incoraggia l’apertura e la cura gli uni per gli altri, in modo spontaneo e contagioso. È ciò è pienamente cristiano. La gentilezza diventa un modo per affrontare la vita attraverso la capacità di connettersi con gli altri e di partecipare al benessere della comunità; è un modo di vivere e di comportarsi nei confronti degli altri per creare un ambiente inclusivo e piacevole per tutti, in cui sentirsi accettati e protetti. Sono convinto che essa vada oltre le buone maniere e la buona educazione che fanno riferimento a un codice di comportamento da osservare nelle occasioni della vita sociale. Potrei coniugare la cortesia – questa è l’indicazione chiara del vescovo – come la capacità di “far star bene gli altri”, di promuovere il benessere altrui, di tenere sempre in considerazione i sentimenti degli altri. E ciò è uno stile indifferibile fra coloro che si chiamano “sorelle e fratelli”. Spesso questa parte della nostra individualità viene nascosta, soprattutto sul mondo del lavoro, dove ci viene chiesto di mostrarci sempre agguerriti, performanti e competitivi; incoraggiare queste dimensioni significa innescare ansia e stress: quando i livelli di stress sono elevati improvvisamente si diventa aggressivi, negativi e scortesi. Ma il vescovo manager e catechista oltre a rivoluzionare le abitudini rivoluziona la comunicazione. Il linguaggio è una componente importantissima nella pratica della gentilezza: deve essere usato in modo corretto, bisogna fare attenzione all’ascolto attivo, al dialogo interiore e al tipo di relazione che abbiamo instaurato con l’altro. La gentilezza è strettamente legata ad un altro importante sentimento: la fiducia. Esse si sostengono a vicenda, in quanto la gentilezza per esistere deve essere fiduciosa nei confronti dell’altro, e se così non fosse sarebbe una cortesia vuota di significato.

Anche gentilezza e umiltà hanno un legame particolare. La gentilezza è praticata più facilmente dagli umili perché non si può essere gentili col prossimo se si pensa di essere superiori o speciali. Chi è in grado di accettare la precarietà e l’imperfezione della vita impara ad essere umile e quindi più gentile con gli altri, in quanto riconosce che condividono la sua stessa sorte.

La gioia risulta altrettanto connessa alla gentilezza perché un gesto gentile fatto di malavoglia e senza la gioia a supportarlo non ha senso di esistere, perde completamente il suo senso. La gentilezza cui ci educa il vescovo è un atteggiamento intimo, sentito, che si perfezione con l’educazione di se ed egli per primo completa con l’esempio. Sarà per tale motivo che ha voluto collegare la gioia del Natale con la gioia della persona gentile: e non solo in Curia.

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Autore

Laureato in Scienze Economiche e Bancarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lavora dal 1990 presso Banca Agricola Popolare di Ragusa, dove attualmente dirige il Mercato Imprese. E’ impegnato nell’associazionismo e nel volontariato nazionale ed internazionale, settori per i quali svolge anche il ruolo di formatore. Già presidente diocesano di Azione Cattolica, è, in atto, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Ragusa e vicepresidente Unitalsi Ragusa.



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