Vita Cristiana intervistati risposte per il sinodo dialogo

Pubblicato il 7 Marzo 2022 | di Redazione

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In ascolto e in dialogo con il mondo intorno a noi

I temi del Sinodo, le domande, le attese, le speranze. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di rispondere ad alcune domande sulla capacità di ascolto, di dialogo e di discernimento. Le loro risposte possono aiutarci a entrare meglio all’interno del Sinodo, offrendoci ulteriori strumenti di lettura. Ringraziamo Cesare Ammendola, psicologo e psicoterapeuta; Michele Digrandi, artista e docente di storia dell’arte; Maria Gabriella Di Quattro, commercialista; Giovanni Scifo, questore in quiescenza; Giuseppe Tumino, bancario, direttore dell’agenzia Carige di Comiso; Donatella Ventura, docente di lettere all’istituto “Besta” di Ragusa.

Chiesa diocesana e le comunità parrocchiali sono “in debito di ascolto”?

«La chiesa diocesana e le comunità parrocchiali non rappresentano realtà omogenee e uniformi, pertanto le valutazioni sulla loro “vocazione e attitudine all’ascolto attivo dell’altro” non sono generalizzabili. Ogni singola comunità è profondamente segnata dalla sensibilità, apertura mentale, capacità di visione, carisma, stile relazionale e capacità empatica del singolo parroco e del singolo vescovo. E in questa frammentazione intrinseca e strutturale della propensione all’ascolto, in uno sguardo d’insieme, è deducibile purtroppo un deficit di ascolto». (Cesare Ammendola).

«Non penso che non ci sia ascolto o che ci siano problemi e pregiudizi da parte della Chiesa. Piuttosto penso che manchi invece la sete di ascolto. Avverto che non ci si rivolge più alla Chiesa in cerca di ristoro delle anime, di aiuto per il cammino terreno, di aiuto per pregare di più. La Chiesa è in grado di ascoltare e di offrire delle risposte per aiuti materiali (cibo, bollette, affitti), per il resto no. Forse perché oggi la fede è un optional forse perché i social con gli attacchi al Papa ed alla Chiesa stessa risultano purtroppo devastanti. (Peppe Tumino).

«Credo che la comunità diocesana e le comunità parrocchiali siano in debito di ascolto nei confronti dei lavoratori del settore privato che, per esigenze di orario molto differenti rispetto a quelle rispettate dalla maggior parte delle persone che possono disporre del tempo libero, non hanno occasione di potere seguire quotidianamente una messa serale o potere accedere in chiesa durante pausa pranzo. Sentirsi accolti presso la parrocchia del quartiere, incoraggerebbe la partecipazione ai momenti di vita comune, magari svolti anche una sola volta a settimana, nelle fasce serali dopo l’uscita dal luogo di lavoro. La Chiesa, accogliendo ed integrando anche questa realtà nella comunità, potrebbe arricchirla approfondendo il percorso del popolo di Dio in cammino, guidato dalla Divina Provvidenza, offrendo proprio come oasi, dopo una intensa giornata di lavoro, la casa del Padre aperta a chi, pur sentendosi l’operaio dell’ultima ora, trova nella presenza sacerdotale il Pastore del gregge che si prende cura di tutti, con tanta pazienza, quella che queste categorie economiche sanno testimoniare, dando e ricevendo fiducia. (Maria Gabriella Di Quattro)

Quali sono i pregiudizi e gli stereotipi che ostacolano l’ascolto?

«In alcuni casi sono puramente ideologici, in altri casi sono più propriamente riconducibili alle biografie e storie psicologiche degli uomini che indossano l’abito religioso». (Cesare Ammendola)

C’è un reale ascolto del contesto sociale e culturale e della vita delle persone, specie di chi è più in difficoltà?

«In alcuni casi l’ascolto è puro, incondizionato e attivo nel senso più pieno: riguardo a individui di cultura religiosa e origine diversa da quella in cui le comunità cattoliche operano. Questo è l’esempio più alto e autentico di ascolto nei confronti dell’altro bisognoso, perché rivela il più formidabile dei talenti nella relazione umana: capire il silenzio». (Cesare Ammendola)

E nei confronti della società, su che cosa e come la Chiesa può prendere la parola?

«Su tutto. Ma con parole nuove e un lessico della postmodernità. In grado di superare antichi pregiudizi». (Cesare Ammendola)

«Risulta difficile in poche battute indicare in cosa la Chiesa possa prendere la parola. Cambierei i termini e dire che la Chiesa deve, ora e sempre, prendere posizione. La Chiesa deve farsi prossimo, è la parola giusta di chi è povero, assetato di giustizia, fragile. La parola potrebbe allora essere pronunciato nel silenzio della Carità». (Donatella Ventura)

La comunità ecclesiale è fermento di consapevolezza e di speranza nei nostri paesi e nelle nostre città?

«Idealmente e potenzialmente. Ma non parla ai bambini e ai giovani in modo affascinante. Trascinante». (Cesare Ammendola)

Quali relazioni, quali esperienze di dialogo e di impegno condiviso si possono costruire con credenti di altre religioni e con chi non crede?

«Il dialogo è l’azione. La solidarietà espressa concretamente con gesti e iniziative a supporto dell’altro, a prescindere dalle ideologie religiose di riferimento». (Cesare Ammendola).

«Nel dialogo ritengo bisogna essere essenziali. Non credo nella realizzazione di eventi, di incontri costruiti. Bisogna andare all’autenticità dell’incontro, all’abbattimento di muri dell’indifferenza verso chi sembra diverso, ma esprime solo la propria unicità». (Donatella Ventura)

La comunità ecclesiale sa essere segno di profezia?

«Sì. Lo sarà in modo ancora più credibile se saprà incarnare in questo torno della storia dell’umanità il sapiente magistero della Chiesa di Francesco. La Chiesa che abbia amore per l’uomo e per il creato, per curarne –  dopo un ascolto attento e generoso – il dolore e la sofferenza per le ferite patite a causa dell’individualismo egoistico e delle sue derive nella politica e nell’economia. In questo senso il cammino sinodale, con la intrinseca sollecitazione alla ricerca della comunione, in cui i talenti e le specificità di ciascuno sono messe a disposizione della comunità dei fedeli e del mondo, mi sembra in armonia con la drammatica urgenza (sfida) della storia di affrancare l’uomo dalla clausura dell’Io come la definiva don Gnocchi e invitarlo a sperimentare il cammino verso il Noi. Cammino che va compiuto con il cuore. Valori umani e cuore della cultura e sensibilità cristiana che il civile occidente cristiano sembra aver dimenticato». (Giovanni Scifo)

Che cosa può e deve essere oggetto di discernimento nella comunità ecclesiale?

«Penso che la comunità ecclesiale debba ripensare alcuni concetti di appartenenza. Non riesco a trovare migliore indicazione che quella della Parabola del buon Samaritano. Chi è stato prossimo? È forse la domanda su cui veramente operare una seria riflessione». (Donatella Ventura)

«Il senso, il significato delle parole coraggio, coerenza e comunione. Una Chiesa è coraggiosa, se è credente e credibile; convincente, in grado di arrivare a tutti: vicini e lontani. Una Chiesa pronta, cioè, a vivere il Vangelo senza le edulcorazioni di uno spiritualismo intimistico e scevra dalle pratiche di pietà consolatorie ed autoassolutorie. L’uno e l’altro approccio declinano il disimpegno della Chiesa e delle comunità cristiane dal concorrere alla scrittura della storia degli uomini. La Chiesa è segno nella storia se converte e libera il cuore dell’uomo e primo fra tutti del fedele, del credente dalle “convincenti logiche ragionevoli” del mondo, quelle che ci spingono a fare ciò che ci conviene, piuttosto che quello che è giusto, che ci suggeriscono di educare i figli a fare i furbi piuttosto che ad essere onesti, che acquietano le nostre coscienze e sopiscono i vaghi sensi di colpa con la religione del “sano realismo” e del “prudente pragmatismo”. Al contrario deve accompagnarlo lungo il cammino faticoso e doloroso della “follia della croce”. Il “legno” che Padre Turoldo definiva “l’unica risposta al mistero del mondo”.(Giovanni Scifo)

Quale riteniamo la missione specifica della Chiesa?

«Quella coerente con la profezia, fedele all’annunzio. La Chiesa in uscita, che innerva profondamente nella vita delle comunità il messaggio “scandaloso” di Cristo. Che sappia, cioè, donare alla comunità degli uomini lungo le strade delle città e dei borghi la verità custodita nel tabernacolo e nella eucaristia. Una Chiesa testimone di un cristianesimo autentico e radicale che indossi il “grembiule” e si metta al servizio del mondo, senza essere del mondo. Che lavori a costruire una città terrestre, quanto più possibile (e per quanto possibile) somigliante alla città celeste. Per il vero la Chiesa, non da ora, è una Chiesa di prossimità. Ma la prossimità di oggi richiede una forza, una energia vitale che dia “politicità” alle formidabili opere di carità della Chiesa. Una pratica di carità che non si esaurisca in se stessa (preziosa ed insostituibile) ma che si faccia cultura, senso, bisogno, obiettivo, orizzonte della politica e dell’economia dei territori e mondiale. E se all’ultimo degli scenari evocati da sempre ha provveduto e provvede il Magistero dei Papi, i territori devono vedere la presenza profetica delle comunità ecclesiali». (Giovanni Scifo)

Come la Chiesa dialoga ed impara dalle altre istanze della società: il mondo della politica, della economia, della cultura…..

«Approcciandosi, per quanto possa sembrare contraddittorio, al confronto ed al dialogo con i mondi vitali della società con umiltà, con “laicità” senza per ciò stesso rinunziare al suo messaggio di salvezza. Ferma e “verticale” nell’annunzio ma caritatevole e”orizzontale” nella relazione. Offrendo, ad esito di un ascolto polifonico ed una osservazione poliedrica, un contributo prezioso che sappia valorizzare la cultura laica e secolare, arricchendola del portato sapienziale della fede. Con chiarezza (ma senza intransigenza ed oppositività, quando non ostilità), declinando cioè tutto ciò che nel mondo secolare (ma anche nella comunità dei fedeli perché si può essere attendibili solo se si è buoni testimoni) è distante e lontano se non contradditorio con il messaggio di Cristo, ma invitando con spirito di fraternità a fare opera di ricerca e riflessione interiore, di introspezione, di verifica della simmetria tra il pensato e l’agito. Sollecitare a cogliere la corrispondenza della secolarità e dei suoi mondi con principi e valori rispettosi della verità, della giustizia, della libertà e della inviolabilità dell’uomo e del creato. In buona sostanza la coerenza con una religiosità o una sacralità laica, per usare un ossimoro, ma solo in apparenza». (Giovanni Scifo)

Come la comunità sostiene i propri fedeli impegnati in un servizio nella società (impegno sociale e politico, nella ricerca scientifica e nellinsegnamento, nella promozione della giustizia sociale, nella tutela dei diritti umani e nella cura della casa comune, ecc.)?

 «Sarebbe bello vedere cattolici praticanti inseriti in maniera armonica nella società e nei suoi mille rivoli, evitando atteggiamenti di distanza. La comunità ecclesiale dovrebbe promuovere l’impegno fuori dalle parrocchie, fuori dalle associazioni. Qualsiasi attività professionali è strumento di servizio al prossimo, e in questo bisognerebbe immergersi con un atteggiamento umile e di ascolto».  (Donatella Ventura)

Quali strumenti e quali confronti possono aiutare a leggere le dinamiche della cultura in cui si è immersi e il loro impatto sullo stile della Chiesa?

«Bisogna trattare il temi sacri in modo chiaro e tangibile. Secondo me bisogna utilizzare la comunicazione artistica in modo molto più visibile e magari riprendere, sotto una versione più attuale, le storie dell’antico e nuovo testamento, come hanno fatto con i mosaici i bizantini e soprattutto, le opere devono rendere chiaro il concetto cristiano della religiosità, perché ormai siamo convinti di sapere tutto, ma siamo solo dei tuttologi e senza uno spirito critico costruttivo. Quindi abbiamo bisogno di una serie di racconti visivi chiari e senza fraintendimenti, come hanno fatto i bizantini realizzando il cosiddetto vangelo dei poveri!! Sono però convinto che il tutto sia difficilissimo da attuare perché sia l’arte sacra che l’arte moderna in generale, sia orientata a descrivere e giustificare tutt’altro. È un po’ complicato parlare di arte e specialmente di arte sacra. Le immagini sono il mezzo più rapido e immediato per poter percepire una tematica specifica e possono essere anche devianti se usate in modo maldestro. Bisogna vedere, per rendere chiare e inequivocabile, quale corrente stilistica si vuole seguire o lasciare agli artisti la libera espressione senza controllo? O stabilire delle regole per evitare fraintendimenti. Il problema è che ormai tutto è stato fatto ed essere originali è diventato difficile e problematico.

Michele Digrandi

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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