Pubblicato il 9 Agosto 2022 | di Saro Distefano
1Nicastro, il filosofo cattolico e socialista
Nei manifesti funebri è scritto, giustamente, “lascia la moglie Paola e i figli Andrea e Lucia”. Ma chiunque abbia letto quel triste messaggio avrà pensato: “e i suoi cento e cento alunni”.
Luciano Nicastro è stato tante cose. Su tutte una: Maestro. Maestro di vita, e di Filosofia, nella sua lunga carriera al Liceo Scientifico Enrico Fermi di Ragusa nel triennio del Corso B (almeno, quand’ero io al Fermi, oltre quaranta anni fa, così si chiamava, adesso non saprei, magari c’è un bell’acronimo intelligibile solo agli “iniziati”).
Luciano Nicastro seguirà il destino di tutti gli uomini come lui, che lo hanno preceduto: lo commemoriamo, lo ricordiamo (io lo faccio qui, su Insieme, giornale diocesano per il quale egli scrisse molti e sempre interessanti articoli), ne citiamo le opere, qualche aneddoto, e poi lo dimenticheremo. Ci vorrà un anno o un lustro, ma lo dimenticheremo. E non porrà rimedio l’intitolazione di una strada.
È il naturale andamento della vita – personale e di comunità – al quale non sfugge nessuno, nemmeno chi ha dato molto o, come nel caso in ispecie, moltissimo. Lo sguardo brillante (letteralmente), una forma d’umorismo unica, una base morale ed etica solidissima, la naturale propensione al dialogo e alla didattica. E poi quell’accennato sorriso di chi ha raggiunto l’equilibrio, anche nella sofferenza. Di chi può trarre un bilancio della vita lunga ottanta primavere e ritrovarsi con un enorme credito. Luciano Nicastro, si diceva, è stato un Maestro. E pertanto la sua illustre eredità sarà nei cuori e nelle menti dei suoi alunni. Certo, anche di chi gli era collega (prima alla Cattolica a Milano e poi nella scuola), di chi gli era vicino sul sagrato di Santa Maria delle Scale con padre Andrea Cascone, di chi gli era stato compagno (lunga la militanza politica nelle file del Partito Socialista Italiano, anche in quegli anni burrascosi del craxismo con gli avversari a incalzare, ma senza mai infierire verso quel filosofo che si prestava alla politica locale per il puro sentimento del servizio alla comunità). Ma, e mi ripeto per l’ennesima volta, è nei cuori e nelle menti degli alunni che ancora per decenni rimarrà – e sovente germoglierà – l’insegnamento di Luciano Nicastro. Sarà Bruno a ricordare la “indagine” per arrivare al contatto con Mario Capanna, suo antico compagno di studi milanesi, e sarà Gian Piero a raccontare del suo primo articolo-intervista al professore sull’Utopia di Tommaso Moro e degli uomini giusti e poi di “Quaderni Iblei”, ma anche dei lunghi dialoghi sotto il carrubo della sua casa di Caucana con sottofondo di Fabrizio De Andrè e Roberto Vecchioni.
E con loro centinaia di altri. E ciononostante lo dimenticheremo. Ma, nel frattempo, se anche una piccola parte dei suoi alunni dovesse – seppur involontariamente – materializzare una parte ancora più piccola del suo insegnamento, saremmo comunque davanti a una montagna di fede, di etica, di filosofia, di vita per poterci alimentare e brindare alla sua memoria.
Non ho più spazio. E dovendo chiudere riferisco solo di due incontri col mio professore. In uno, di qualche estate fa, non fui d’aiuto. Nicastro mi chiedeva di fare qualcosa per rimediare allo scempio della spiaggia di Caucana, sfregiata da tonnellate di brecciolino per un “ripascimento” che s’è rivelato un fallimento. Scrissi un paio di articoli, ne parlai in televisione ma, di fatto, non ottenemmo nulla, e quella splendida spiaggia è sempre rovinata. Nel secondo, più recente, il professore accennava a una sua idea: creare, in un giardino cittadino, un “viale degli Uomini illustri”, com’è in alcune città italiane. Sarebbe, questa, l’occasione per non deludere Luciano Nicastro, anche perché in quel viale, con Giambattista Hodierna e Giovanni Antonio Di Giacomo, monsignor Jacono e Cesare Zipelli, una colonnina sarebbe già destinata ad un filosofo.
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