Vita Cristiana

Pubblicato il 30 Ottobre 2022 | di Redazione

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Accuse al Sinodo?

Di recente e da più parti si parla o si scrive in merito al sinodo, fortemente voluto da papa Francesco e che tutta la Chiesa da un anno sta vivendo nel tentativo di fare esperienza diretta della sinodalità, che del sinodo ne è il tema centrale.

Colpiscono, tuttavia, in modo particolare le forti accuse che da alti livelli ecclesiastici vanno ad impattarsi negativamente con lo spirito stesso del sinodo. Secondo tali accuse mosse dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, al Segretario generale del sinodo Cardinale Mario Grech, il sinodo tenta di distruggere la Chiesa perché ne compromette la dottrina e le sue stesse fondamenta, trasformandola in una sorta di partito politico il cui programma può essere modificato con dei voti. A ciò si aggiunge l’insinuazione secondo cui il processo sinodale non avrebbe nulla a che vedere con la fede cattolica e rischia di portare la Chiesa verso il suo annientamento. Parlando poi dell’instrumentum laboris, essendo redatto da esperti – laici, suore, sacerdoti e un arcivescovo – il Cardinale Müller commenta: “Costoro sognano un’altra Chiesa che non ha nulla a che vedere con la fede cattolica (…) e vogliono abusare di questo processo, per spostare la Chiesa cattolica non solo in un’altra direzione, ma verso la sua distruzione”.

Sono parole accusatorie gravi ma, a mio parere, eccessivamente ridondanti poiché denotano una preparazione storica e teologica alquanto approssimativa, se non addirittura discutibile.

Il sinodo non è un’invenzione di papa Francesco, bensì un termine e un istituto della Chiesa antica, che fin dai primi secoli cristiani avvertiva la consapevolezza di dover camminare insieme, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. I cristiani della prima ora compresero quanto fosse importante dialogare con le tante espressioni culturali e filosofiche dell’Evo antico, al punto tale che tante forme e strutture della Chiesa primitiva andavano cambiando sensibilmente, senza ovviamente snaturarne le radici teologiche, perché forte era l’esigenza di dialogare con l’uomo proveniente dalle più varie culture.

Nella Chiesa di tutti i tempi, sebbene in termini diversi, questa motivazione riemerge sempre. Negli anni successivi al Vaticano II, Yves Congar evidenziava che «i nostri tempi richiedono una revisione delle forme tradizionali che va al di là dei piani di adattamento o di aggiornamento, ma piuttosto comporta una nuova creazione. Non è sufficiente mantenere ciò che è esistito fino ad ora, adattandolo; è necessario costruire di nuovo»[1]. Queste parole di Congar si inseriscono pienamente nella dinamica di una Ecclesia semper reformanda[2], concetto accolto nella vita della Chiesa fin dai suoi primordi, proprio attraverso lo strumento dei sinodi.

Una minuziosa indagine storica di Enrico Cattaneo mostra che fra il II e il III secolo ogni genere di discussione sinodale, di natura teologica o disciplinare, avveniva sempre davanti alla comunità e mai senza di essa[3]. Considerando i secoli successivi, Karl Baus ritiene che tra il IV e il V secolo, il sinodo consisteva nella forma organizzativa più ampia di un raduno di vescovi, provenienti da una provincia ecclesiastica (nel caso del sinodo provinciale), e da più province o da parti più varie dell’Impero (nel caso del concilio plenario)[4].

Nell’esperienza della Chiesa tardo antica, i sinodi rappresentarono la conseguenza più rilevante di questa consapevolezza: i vescovi vi esercitavano il loro ministero in comune e prendevano autorevoli decisioni in merito a questioni su cui la tradizione precedente non si era pronunciata o non lo aveva fatto con sufficiente chiarezza. Le testimonianze patristiche a tal riguardo sono innumerevoli. Solo per citare le fonti più antiche, già la Traditio apostolica risalente alla prima metà del III secolo faceva avvertire la forte importanza della componente laicale, segnalando che «l’assemblea è il luogo dove fiorisce lo Spirito»[5].

Un altro importante studio di Alberto Camplani nota che nell’Epistolario di Cipriano di Cartagine la presenza dei laici è fondamentale, poiché con ammissibile ragionevolezza essi discutevano prima dell’assise episcopale, per confrontarsi sulle questioni che sarebbero state poi dibattute nel contesto più ufficiale dell’adunanza dei vescovi[6]. Si coglie qui la peculiarità del sinodo, che vedeva il suo inizio proprio nell’ambito laicale e mai senza di esso; è anche plausibile immaginare che i laici proponessero le conclusioni del loro dibattimento ai vescovi, perché se ne servissero nei modi più opportuni.

Non si può tacere, infine, che in molti scritti di Agostino, soprattutto nei Sermones e nelle Epistolae, il medesimo dato è diffuso e se ne deducono le applicazioni pastorali più concrete. Per il vescovo d’Ippona, a parte il dato biblico e la tradizione della Chiesa antica che costituiscono le uniche realtà veramente intoccabili, tutto il resto può sempre essere rivisitato: un vescovo può correggere un altro vescovo, un sinodo può sviluppare, chiarire o correggere un’eventuale deviazione delle verità di fede oppure ancora modificare norme disciplinari di precedenti sinodi o concili plenari.

Per Agostino, il sinodo fa crescere una comunità e tutta quanta la Chiesa; esso si celebra per stimolare nella Chiesa la riflessione a tutti i livelli e per generare in essa un’apertura sempre maggiore, cominciando dalla ragione e dalla fede fino ad approdare a scelte consapevoli per la vita cristiana dell’intera comunità. Il sinodo consente alla Chiesa di essere realmente in cammino, di non essere mai statica, piuttosto di crescere, di evolversi e di maturare. È proprio ciò che il dotto vescovo lascia intendere in De Baptismo contra donatistas: «I posteri, in effetti, antepongono i sinodi più recenti a quelli più antichi e, molto più giustamente, il concilio universale al particolare»[7]. L’affermazione fa comprendere che da una parte il sinodo è lo strumento indispensabile per il cammino della Chiesa, dall’altra è la norma perché la comunità ecclesiale mai sia ripiegata in se stessa, piuttosto sia aperta e abbia sempre un largo respiro. Secondo lui, la Chiesa è sempre chiamata a crescere e a ripensarsi positivamente.

Nei primi anni di episcopato, verso il 400, scrivendo all’amico Gennaro, il dottore Ipponense ritiene che l’autorità del sinodo veicola e accresce la Tradizione, perciò egli la pone in parallelo all’auctoritas apostolica e conclude che il sinodo conferisce alla Chiesa una saluberrima auctoritas[8]. Nel pensiero di Agostino, dunque, un sinodo è autorevole di per sé, poiché conferma l’autorità degli Apostoli, dà garanzie di certezza alla Tradizione di fede della Chiesa, chiarisce i dubbi e conferma la dottrina da seguire[9]; in altre parole, un sinodo impedisce alla Chiesa di spegnersi, perciò la sua autorità è salutare per la Chiesa stessa. Il sinodo evidenziava anche la crescita della comunità, sempre stimolata a evolversi e a ripensarsi, per accogliere le domande e le sfide del tempo presente.

In fondo, i sinodi antichi svelano che il bisogno del confronto assembleare e la ricerca del più ampio consenso stanno all’origine della sinodalità. Non si può negare che l’anima più recondita del sinodo è data dalla reciprocità dell’ascolto, che da un lato crea il dibattimento, ma anche dal profondo desiderio di ascoltare la voce dello Spirito, che dall’altro lato opererà in favore del più ampio consenso. Non è possibile percepire la voce autorevole dello Spirito senza le premesse dell’ascolto, del confronto e della ricerca seppur faticosa del consenso. Tali premesse costituiscono da sempre gli ingredienti imprescindibili della sinodalità e aprono la via a nuove prospettive o decisioni da adottare in termini ecclesiali.

Per finire, senza sinodi, assemblee e consultazioni, la Chiesa antica non sussisteva. In fondo, questa categoria è stata sempre parte integrante della vita ecclesiale; oggi si cerca di riscoprirla secondo i canoni della tradizione primitiva, allargando l’espressione della sinodalità all’intero Popolo di Dio, giacché proprio in esso soffia lo Spirito Santo che sempre gli conferisce autorità.

 

Giuseppe Di Corrado

[1] Cf. Y. Congar, «Rinnovamento dello spirito e riforma dell’istituzione», in Concilium 8 (1972) 3, 57ss.

[2] Cf. Concilio Vaticano II, decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, (1964), 4.6.

[3] Cf. E. Cattaneo (ed.), I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, Milano 1997, 159-168.

[4] Cf. K. Baus, «Le assemblee della Chiesa», in K. Baus – E. Ewig (edd.), Storia della Chiesa. II. L’epoca dei concili, Jaka Book, Milano 20072, 264-265.

[5] Cf. Ippolito di Roma, La Tradizione apostolica. Introduzione, traduzione e note, R. Tateo (ed.), Roma 1995, 94.

[6] Cf. A. Camplani, «Le trasformazioni del cristianesimo orientale: monoepiscopato e sinodi (II-IV secolo)», in Annali di storia dell’esegesi 23/1, Bologna (2006), 70.

[7] Agostino, De Baptismo contra donatistas, 2,9,14.

[8] Agostino, Epistola 54,1,1: «Quanto invece alle prescrizioni non scritte ma […] stabilite e raccomandate sia dagli stessi Apostoli sia dai concili plenari, la cui autorità è salutare per la salvezza della Chiesa».

[9] Cf. Agostino, De Baptismo contra donatistas, 1,7,9; Contra Cresconium, 4,13,15; Contra epistolam Parmeniani, 3,6,29; Contra litteras Petiliani, 1,10,11.

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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