Società

Pubblicato il 27 Dicembre 2022 | di Redazione

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L’obiezione di coscienza come profezia di pace

Sono trascorsi 50 anni da quando una legge (la 772 del 1972) ha riconosciuto l’obiezione di coscienza come un diritto. Erano gli anni in cui il servizio militare era obbligatorio per tutti i ragazzi. L’obiezione di coscienza consentì di adempiere il proprio dovere nei confronti della patria senza armi e senza stellette ma con un periodo di servizio civile (di otto mesi più lungo rispetto al servizio militare). Fu una conquista di civiltà e da quel giorno prese le mosse anche il servizio civile che continua, seppur con forme diverse, ancora oggi.

A Ragusa, attorno alla Caritas diocesana, che fu uno dei primi enti a convenzionarsi con il Ministero della Difesa, nacque una comunità di obiettori di coscienza che sperimentarono la cultura della pace e della nonviolenza in una terra che fu, proprio in quel periodo, anche segnata dall’installazione dei missili Cruise a Comiso.

Direttore della Caritas era monsignor Giovanni Battaglia che ricorda così i primi passi dell’obiezione di coscienza e del servizio civile nel nostro territorio. «Ero il direttore della Caritas diocesana e partecipavo agli appuntamenti di Caritas italiana. Ricordo che quando fu stipulata la convenzione tra la Caritas nazionale e il Ministero della Difesa ero parroco alla Nunziata di Comiso. Pochi giorni dopo l’approvazione della legge e la stipula della convenzione, due giovani, Enrico Giordano di Ragusa e Franco Barbagallo di Comiso, bussarono alla porta della basilica e mi annunciarono l’intenzione di presentare la domanda per dichiararsi obiettori di coscienza. Io ne fui felice. Furono i primi obiettori in assoluto. Il numero dei giovani, con il passare degli anni, è lievitato in modo esponenziale. Questo ci ha permesso di organizzare in modo sistematico e organico i servizi che le povertà del territorio ci richiedevano. Gli obiettori della Caritas hanno interpretato in modo radicale il loro no alle armi, testimoniando i valori della pace attraverso il servizio reso. Il percorso formativo era molto curato e siamo arrivati anche a proporre la vita comunitaria nei centri dove i ragazzi prestavano servizio o nella Casa del clero in Vescovado».

Cosa ha caratterizzato quell’esperienza?

«In quegli anni c’è stata l’espansione dei servizi offerti dalla nostra Caritas (il Centro di pronta accoglienza, le comunità di recupero per i tossicodipendenti, le strutture per i minori, i primi sostegni agli immigrati che iniziavano a lavorare nelle nostre campagne), tanto che diventammo un punto di riferimento per le altre Caritas siciliane e anche a livello nazionale eravamo considerati degli antesignani in tanti campi. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza gli obiettori in servizio civile, senza di loro non avremmo potuto esprimere la presenza della Chiesa nel territorio. È stata una ricchezza immensa poter contare su giovani motivati che avevano maturato una scelta forte e non solo un rifiuto al servizio militare. Ci sono testimonianze stupende. Oggi posso dire che è stato un evento di Chiesa. La Caritas ha moltiplicato i suoi servizi e la sua presenza grazie agli obiettori».

Come furono vissuti gli anni delle marce pacifiste a Comiso?

«I ragazzi con la loro opera lanciavano un messaggio forte di pace. Dimostravano che si potessero risolvere i problemi con strumenti pacifici e senza ricorrere alle armi. Per la nostra Diocesi le marce pacifiste a Comiso rappresentarono anche una contestualità particolarmente provocante. Ognuno aveva una sua posizione personale che naturalmente rispettavamo».

Come fu percepita quell’esperienza all’interno del mondo ecclesiale?

«Fu sicuramente apprezzata. Del resto la maggior parte dei giovani provenivano dalle nostre comunità e restituirono alla Chiesa ragusana una ricchezza immensa. Alcuni di loro entrarono poi in Seminario e oggi sono sacerdoti. Non ho problemi ad ammettere che ci fu anche qualche sacerdote che non capì le motivazioni degli obiettori e del resto si trattava di una scelta che non è facile da percepire perché nasceva nella coscienza di ognuno. Sì, ci fu qualche sacerdote che rimase scettico e anche il vescovo, monsignor Angelo Rizzo, durante la messa in occasione della prima festa, che celebravamo ogni anno il 6 gennaio, parlò della “cosiddetta” obiezione di coscienza. Questa scelta non era ancora divenuta come una scelta di pace, di gioia e di libertà. Lo divenne nel corso degli anni grazie alla testimonianza di quei giovani».

C’è qualche episodio o momento che ricorda con maggiore piacere?

«Tanti. Tra gli episodi ricordo un’ispezione del Distretto militare di Siracusa che si stupì di trovare tutti i ragazzi in servizio e l’unico che non era al centro (perché aveva un turno di pomeriggio) lo trovarono alla casa degli obiettori a effettuare le pulizie. Quel capitano andò via a bocca aperta. A livello personale mi tocca il cuore l’aiuto che gli obiettori prestarono a una sorta di casa-famiglia per anziani che avevo creato quando ero parroco alla Nunziata. Sono stati degli autentici samaritani. Un altro ricordo è legato a una vecchia 600 rossa che ci fu donata. Con quell’auto, ogni sera, gli obiettori perlustravano la stazione e gli altri posti della città che potevano essere rifugio di senzatetto. Trovarono, tra gli altri, Franco, un barbone, che ospitarono e curarono nella loro casa. Il Cpa, che fu portato avanti insieme a suor Bartolomea e alle suore di suor Francesca Cabrini, fu il primo esempio di struttura di accoglienza a essere creata e divenne un esempio da seguire per le altre Caritas e le altre Diocesi. Oggi, il servizio civile è inevitabilmente diverso. Mi fa piacere che alcuni di quei giovani siano oggi sacerdoti e che tanti laici, formatisi in quegli anni, ricoprano ancora oggi ruoli di responsabilità nella nostra Chiesa. Personalmente, porto nel cuore con tanto affetto i ricordi di centinaia di giovani».

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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