Vita Cristiana

Pubblicato il 23 Febbraio 2023 | di Giuseppe La Placa, Vescovo

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NON DI SOLO PANE

  1. Ritorno all’essenziale

Fratelli e sorelle carissimi, come ogni anno all’inizio della Quaresima, con la celebrazione del Mercoledì delle ceneri, la Liturgia ci traccia il cammino verso la Pasqua riproponendoci tre pratiche penitenziali per vivere il tempo quaresimale come un viaggio di ritorno all’essenziale: la preghiera, l’elemosina e il digiuno.

Tre opere, ci ricordano i Padri, che non possono essere divise, separate, ma che sono una cosa sola e ricevono vita l’una dall’altra: «Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia» (Pietro Crisologo, Discorso 43).

Nel messaggio per la Quaresima di quest’anno, vorrei invitarvi a riflettere sulla pratica del digiuno, provando a coglierne il valore e il senso per la nostra vita cristiana. Nonostante sia stato quasi del tutto cancellato dal vocabolario e dalla pratica cristiana, i testi della liturgia e le letture bibliche del tempo di Quaresima continuano, però, a parlare abbondantemente di digiuno.

 

  1. Perché il digiuno?

Come sappiamo, la pratica del digiuno è conosciuta presso tutti i popoli. Fin dai tempi più remoti, infatti, si digiunava quando ci si trovava in situazioni di pericolo o si era colpiti da sventure, quando la grandine o le cavallette distruggevano i raccolti o le piogge tardavano ad arrivare. Questo sacrificio volontario aveva lo scopo di commuovere Dio, placarlo, convincerlo ad intervenire o a porre fine ai suoi castighi.

Il profeta Isaia ci racconta l’esperienza del popolo di Israele che, tornato dall’esilio di Babilonia, vedeva che le promesse fatte dai profeti tardavano a realizzarsi (cfr. Is 58, 7-10). Invece della sospirata pace che doveva regnare nella comunità, si era instaurata una società dominata da arrivisti e profittatori. Ovunque c’erano violenze, angherie, discordie. Per convincere Dio a intervenire e porre rimedio a questa situazione, si decide allora di annunciare un digiuno nazionale, rigoroso, severo. E però, nulla cambia. Tutto continua come prima e in molti si insinua il sospetto che la pratica del digiuno sia inefficace: «Perché digiunare – ci si chiede – se il Signore non ascolta ed è come se non ci fossimo sottoposti a mortificazioni e rinunce?» (Is 58,3).

La colpa del mancato cambiamento – spiega loro il profeta Isaia – non è però del Signore, ma del modo errato di praticare il digiuno, ridotto a una sterile autopunizione, a una dolorosa penitenza. Questo digiuno non ottiene alcun risultato perché, è vero che sottopone il corpo a privazioni, ma non cambia il cuore.

 

  1. Il digiuno gradito a Dio

Qual è, dunque, il digiuno gradito a Dio? E soprattutto: oggi ha ancora senso parlare di digiuno? C’è, infatti, chi considera l’antica prassi penitenziale come un retaggio di una spiritualità cristiana ostile alla corporeità dell’uomo e chi, invece, lo ritiene un anacronistico ascetismo, espressione di esteriorità e puro formalismo. Sta di fatto che all’uomo moderno è più facile far comprendere le motivazioni di una “dieta” alimentare o di uno “sciopero della fame”, piuttosto che il valore religioso del “digiuno”: un mezzo, cioè, che la tradizione della Chiesa ha da sempre riconosciuto quasi come “sacramento” della propria conversione a Dio.

Diciamo, allora, che non solo ha senso, ma è addirittura necessario ritornare a parlare di digiuno. Dire che oggi la pratica del digiuno abbia perso il suo senso, oltre che negare una cosa affermata e praticata per tanti secoli, sarebbe come negare l’esempio di Gesù stesso nel deserto. Naturalmente, si tratta di tornare a parlarne nella sua più giusta comprensione, e cioè quella di mezzo rispetto al fine.

Il digiuno, infatti, non è fine a se stesso, non riguarda solo l’astenersi dai cibi e dalle bevande, ma include anche una necessaria ricaduta positiva nella vita: c’è, infatti, un intimo legame fra il digiuno e la conversione della vita, il pentimento dei peccati, la preghiera umile e fiduciosa, l’esercizio della carità fraterna e la lotta contro l’ingiustizia: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti – ci ricorda il profeta Gioele –. Laceratevi il cuore e non le vesti» (Gl 2, 12-13).

Certamente il digiuno del corpo è importante, ma solo se collegato con l’intenzione di convertirci e cambiare stile di vita, altrimenti serve soltanto come benessere per il nostro fisico. La pratica del digiuno, se staccata dal desiderio di conversione a Dio e dall’esercizio della carità fraterna, diventa semplice ritualità, puro formalismo esteriore.

 

  1. La carità… la verità del digiuno

Ecco, allora, qual è la chiave per comprendere il senso e il valore del digiuno: la carità: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli – dice San Paolo –, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita» (1Cor 13,1). Senza la carità, tutte le altre virtù non sarebbero tali in senso assoluto, perché – ci ricorda San Tommaso, mancherebbe loro quella disposizione verso il nostro fine ultimo, che è Dio stesso (S. Th, II-II, q. 23, a. 7). È la carità che dà senso al nostro digiuno, è la carità che ci indirizza verso Dio, che ci unisce a Lui e ci avvicina ai nostri fratelli. Questo è il digiuno gradito a Dio: «Che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne?» (Is 58, 6-7). Il digiuno senza la carità non serve e non giova a nulla.

La verità e l’autenticità del digiuno risiede nella crescita nella carità, nell’amore fraterno, unico metro su cui dev’essere misurata anche ogni forma di ascesi cristiana: «Se nell’ora dell’orazione – scrive San Vincenzo de’ Paoli – avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell’orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda» (Ufficio delle Letture del 27/09, memoria del Santo).

 

  1. Una riserva di felicità

Carissimi fratelli e sorelle, approfittiamo allora di questo tempo di grazia della Quaresima per prenderci cura di chi ci è vicino, per farci prossimi – come ci ricorda papa Francesco – a quei fratelli e sorelle che sono feriti sulla strada della vita (cfr Lc 10,25-37). La Quaresima, infatti, è tempo propizio per cercare, e non evitare, chi è nel bisogno; per chiamare, e non ignorare, chi desidera ascolto e una buona parola; per visitare, e non abbandonare, chi soffre la solitudine. Mettiamo in pratica l’appello a operare il bene verso tutti, prendendoci il tempo per amare i più piccoli e indifesi, gli abbandonati e disprezzati, chi è discriminato ed emarginato (cfr Fratelli tutti, 193)

In questo tempo di Quaresima, riscopriamo la pratica del digiuno per coltivare lo stile del Buon Samaritano che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Deus caritas est, 15), privandoci anche di qualcosa per aiutare i nostri fratelli in difficoltà: «Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità» (Francesco, MQ 2021).

Buona Quaresima a tutti.

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