Pubblicato il 30 Marzo 2023 | di Saro Distefano
0Non è vero ma ci credo
Peppino de Filippo scrisse, nel 1942, una commedia dal titolo “Non è vero ma ci credo”. Fu un clamoroso successo in tutti i teatri italiani e poi anche nei cinema, perché dieci anni dopo lo stesso Peppino girò un film tratto dalla omonima commedia.
Quel “non è vero ma ci credo” entrò nel linguaggio nazionale, ben oltre la notorietà della commedia, per dare il senso di una situazione nella quale, davanti ad un fatto inspiegabile, quando la ragione dice di non crederci, tu non hai spiegazioni e dichiari di crederci … a prescindere, come direbbe l’altro grande attore e autore napoletano, il Principe De Curtis.
E nella nostra città abbiamo un esempio di come un fatto inspiegabile, se non rivolgendosi a poteri altri, a forze sconosciute, a influssi maligni, a energie negative e chi più ne ha più ne metta. Tanto sono tutte sciocche credenze e nulla più. Un esempio secondo me emblematico. Si chiama “Convento e chiesa di Santa Maria del Gesù”, che tutti i ragusani chiamano semplicemente “Jesu”.
Da tempo immemore quell’immenso immobile giace avvolto da tubi innocenti e teli di protezione nel frattempo strappati, arrugginiti.
Al Comune, ente responsabile dei lavori di restauro avviati due decenni orsono, da tempo ripetono (e altro non potrebbero fare) che il problema è di ordine amministrativo, essendo fallite le prime due aziende che avevano vinto la gara d’appalto mentre la terza ha chiesto la revisione dei prezzi.
Il risultato è sempre e solo uno: un cantiere eterno, abbandonato, una pessima cartolina all’ingresso della nostra bella anzi bellissima Ibla.
Certo, non è la prima opera pubblica che subisce l’affronto dell’abbandono. E nella stessa nostra città basterebbe citare quella grande e bella (almeno un tempo) struttura di contrada Selvaggio da trent’anni costruita per essere casa di riposo per anziani, di proprietà e gestione comunale, ma nei fatti mai avviata, mai aperta.
Però, nel caso del convento di Ibla che fu dell’Ordine dei Frati Minori (comunemente detti “Francescani”) parrebbe proprio che il destino si accanisca per impedirne la ri-apertura. E da questa considerazione le mille congetture, non escluse quelle dei soliti buontemponi che riferiscono di “presenze” che aleggiano all’interno delle stanze del seicentesco convento francescano. Come quella di un frate guardiano che nel 1866, quando lo Stato italiano incamerò tutti i beni immobili degli ordine religiosi, non volle lasciare il convento dichiarando di volerci morire dentro.
Chi, come me, non crede a fantasmi e spiriti, patruna o luocu e amenità varie (ancorché l’enorme letteratura in argomento mi affascina tantissimo), non riuscirà mai a vedere il frate francescano fluttuare in aria dentro il convento, ma non può non scandalizzarsi per quanto noi tutti (s’intende i cittadini di Ragusa) siamo serenamente indifferenti allo sfacelo, all’abbandono, al fatto, cioè, che un enorme bene sia tanto superficialmente trattato nonostante l’importanza storica, ecclesiologica e sociale per la nostra comunità. Questa indifferenza fa più paura dei fantasmi.