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Pubblicato il 31 Marzo 2023 | di Vito Piruzza

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Migrazioni, alla radice del fenomeno La logica dei muri non è la soluzione

Non voglio entrare nel merito del naufragio di Cutro, anche se l’ennesima strage in mare ha profondamente turbato anche me per il carico di sofferenza che porta in sé e per la drammaticità di chi vede finalmente la meta di un lungo e sofferto viaggio che ti cambierà la vita, e proprio a 100 metri trova la morte ad attenderlo.

Voglio invece parlare dei vari modi di approcciare la problematica che sottende agli atteggiamenti degli attori di questa vicenda.

Si è già ampiamente scritto dell’infelice frase a caldo del ministro Piantedosi sulla colpevolizzazione del senso di responsabilità dei genitori dei bimbi che sono morti affogati. Molto più rivelatore è  il decreto del governo che per risolvere il “problema” crea un nuovo “reato” punito con pene severissime (fino a 30 anni) anche se di difficile applicazione («questo governo andrà a cercare gli scafisti su tutto il globo terracqueo»); limita la concessione della “protezione speciale”; si velocizzano le espulsioni; si prevede una programmazione triennale dei flussi regolari per lavoro (che serve a risolvere il “nostro” problema del bisogno di manodopera e non certo il problema dei migranti) e la possibilità di commissariare i centri per l’immigrazione. Va aggiunto che questi provvedimenti seguono la recente normativa sulle Ong con l’effetto di complicare l’attività di salvataggio che ne è derivato.

Insomma ancora una volta la logica sottostante è quella repressiva che parte dall’assunto che il “problema” sono i migranti e che la “soluzione” è evitare che si mettano in viaggio.

Ma siamo sicuri che sia corretta l’impostazione? La sensazione è che questi provvedimenti siano più uno spot a beneficio dell’immagine del governo che una ricerca di soluzione reale.

Fino a quando non si focalizzerà il vero “problema” non ci sarà una “soluzione” efficace. Fino a quando ci saranno popoli oppressi da regimi autoritari (curdi), popoli vittime da guerre civili (siriani) o vittime di intolleranza nei confronti delle donne che vengono avvelenate nei dormitori delle università o uccise e abusate per non avere indossato il velo (Iran e Afghanistan) o vittime di guerre di aggressione (Ucraina) o di intolleranza religiosa (Boko Aram) o vittime delle carestie scatenate dai cambiamenti climatici (in gran parte causati da noi nazioni “evolute”) dovremo fare i conti con persone che cercano di trovare un futuro di pace e prosperità per sé e per le proprie famiglie.

Il problema va, a mio avviso, affrontato con uno sguardo più ampio e differenziando i provvedimenti di breve periodo da quelli di lungo periodo: intanto nel breve periodo non c’è dubbio che chi fugge da situazioni di pericolo per guerre e regimi repressivi abbia “diritto” all’asilo e che il corrispondente “dovere” di accoglienza vada esercitato in ambito europeo. Va subito rivisto il ruolo dell’Onu oramai ridotto a mero spettatore senza alcun potere, incardinandolo in una logica multipolare, e va subito ritrovato un nuovo equilibrio internazionale che governi sia i contenziosi internazionali sia la salvaguardia della natura.

Se non si affronta con questa ottica il problema, ogni provvedimento sarà un pannicello caldo che sommerà all’inefficacia una profonda ingiustizia perché rivolto non contro le cause del fenomeno, ma contro le vittime.

 

 

 

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