Pubblicato il 26 Giugno 2023 | di Redazione
0Le storie del cambiamento che “trasformano” la fascia trasformata iblea
Una famiglia molto numerosa che affitta una casa e la riscatta diventandone proprietaria; il contratto di lavoro che apre ad una vita finalmente “regolare”; la gioia di una donna che dedica a sé stessa un po’di tempo e lo impiega nei controlli medici; i bambini che vengono educati e educano le proprie famiglie alla raccolta differenziata; un padre con tre figli che riesce finalmente ad occuparsi dei bimbi riunendo la famiglia sotto lo stesso tetto.
All’apparenza storie normali che diventano straordinarie se per un attimo si pensa alle condizioni di partenza.
- La famiglia che riscatta la casa è di origine romanì; viveva in una serra, con stanze scandite da una sequenza di coperte, lontana dal centro abitato, senza nessun tipo di servizio, senza possibilità di socializzare per isolamento e per condizioni. Ora ha cambiato vita. I volti sono sorridenti, c’è tempo anche per andare a giocare al mare. La casa, finalmente la loro casa, è nel centro abitato di Marina di Acate.
- Il contratto di lavoro di un giovane che quel mare lo ha attraversato sperando nel futuro, gli permette finalmente di avere il permesso di soggiorno e di diventare parte della “società”.
- C’è quella donna, anche lei di origini africane, isolata tra le serre, madre di un nugolo di figli, e che nonostante anni vissuti nel nostro Paese, non conosce una parola di italiano, prigioniera della miseria tra sperduti impianti serricoli e da una maternità non sempre voluta. Grazie agli operatori del progetto, per la prima volta, trova qualcuno che si occupa di lei.
- I bambini di 10 nuclei famigliari stranieri che vivono in catapecchie in un contesto ambientale di degrado e sporcizia incontrano gli educatori ambientali, si divertono ad imparare a differenziare la spazzatura e la collaborazione con il Comune di Vittoria che quei bidoni li va a svuotare regolarmente, li rende finalmente fieri cittadini
- C’è quel papà solo con 3 figli, che dopo mesi lontananza dalle creature che vede solo nei fine settimana perché costretto a lavorare, trova aiuto e casa, riunisce la famiglia e supportato da una comunità che lo abbraccia, finalmente si siede a tavola ogni giorno con quei bimbi.
- Ma viene attivato anche il car pooling, con un lavoratore straniero “fortunato” ad avere patente e autovettura, si fa carico con il sostegno del progetto, di accompagnare altri cittadini stranieri al lavoro, mettendo in campo un servizio essenziale in un territorio. Sì, perché nella fascia trasformata potere andare a fare la spesa, o andare in ‘paese’, se vivi isolato dal mondo, è un privilegio che costa, anche 40, 50 euro a “tratta”, e si chiama “caporalato dei servizi”.
Sono questi alcuni dei risultati ottenuti dal progetto TFT – Trasformare la fascia trasformata, sostenuto da Fondazione CON IL SUD – soggetto responsabile dell’attuazione ‘I Tetti colorati’ onlus, in partnership con coop. Proxima, CGIL, associazione L’Altro Diritto Onlus con il supporto esterno della Caritas diocesana di Ragusa – ha tirato le somme della prima metà di un percorso, che lo ha visto impegnato in un contesto che Daniela Castagno (Fondazione CON IL SUD) ha definito “molto sfidante”: quello della cosiddetta “fascia trasformata” che si snoda tra Marina di Acate e Scoglitti nel Ragusano.
E’ stato un confronto tra operatori e partner con la volontà di condivisione, da un lato, dell’analisi effettiva della complessità dei bisogni riscontrati sul campo e, dall’altro, dei risultati raccolti; un punto di partenza in cui formazione, informazione e affinamento delle strategie operative sono state al centro di una due giorni che si è svolta tra Ragusa e Marina di Acate per focalizzare ancora meglio gli interventi da attuare nei prossimi 18 mesi.
La suddivisione in tre ambiti di intervento strettamente connessi tra loro – area sociale coordinata da Ausilia Cosentini, area della filiera agroalimentare coordinata da Letizia Palumbo e area ambientale coordinata da Alessia Gambuzza – raccontano la complessità di un territorio in cui le competenze si integrano, ed è costante la “riflessione che sta alla base del progetto – ha detto ancora Daniela Castagno -, cioè come innescare processi di cambiamento duraturo nelle condizioni della fascia trasformata, sia sostenendo l’accesso ai diritti da parte delle persone che qui vivono, in prevalenza di origine straniera, sia stimolando cambiamenti sistemici, che coinvolgono la filiera produttiva e, più in generale, responsabilizzano l’intera comunità. L’obiettivo è che quelle stesse persone possano avere la possibilità di scelta del loro futuro e delle condizioni in cui volevano, potevano e possono stare qui”. Operare per cambiare il contesto di filiera delle imprese agroalimentari e della comunità che ne compone un segmento
Sono stati 70 i nuclei famigliari stranieri coinvolti, 50 di questi sono stati presi in carico dal progetto: 96 persone, i tre quarti delle quali hanno migliorato le loro condizioni iniziali di fragilità.
Ecco il dettaglio:
- 56 persone coinvolte nell’educativa territoriale diffusa
- 47 persone si sono rivolte allo “sportello donna” evidenza che ha portato alla stipula di una intesa con l’Azienda sanitaria provinciale per attivare un ambulatorio ginecologico
- 13 persone supportate nella mobilità (car pooling)
- 50 persone coinvolte nel tutoraggio ambientale hanno acquisito comportamenti virtuosi migliorando l’ambiente che le circonda
Ma c’è anche il “sistema lavoro” che ha permesso di stilare report sui lavoratori migranti della fascia trasformata intervistando 6 aziende e 18 lavoratori, di mappare al momento 44 siti a rischio inquinamento – del suolo, con il percolato, e dell’aria con le ‘fumarole’ – che deriva in parte pure da comportamenti illegali di smaltimento dei rifiuti di serra, di coinvolgere anche grazie alla rete “Radar” (Rete Aperta anti Degrado Ambientale Ragusa), attivare la racconta differenziata in contrada Alcerito partendo dai bambini.
Significativi segnali di cambiamento che la COP (comunità degli operatori di progetto che vede in Massimo Zortea il ruolo di facilitatore) ha condiviso manifestando anche una esigenza emersa con prepotenza: comprendere a fondo le interconnessioni riscontrate tra lo sfruttamento lavorativo femminile e la violenza di genere.
Proprio su questo tema, con la volontà di Valentina DiStefano, legale rappresentante di progetto e Vincenzo La Monica che lo coordina, che si è incentrata la parte formativa che ha visto la presenza di Consuelo Bianchelli, antropologa del laboratorio di Etnoantropologia dell’Università di Modena e Bologna. “Nelle dinamiche di sfruttamento lavorativo femminile il rapporto asimmetrico tra sfruttatore e persona sfruttata assume connotazioni che riguardano la violenza di genere: mi riferisco alla violenza fisica, alla violenza psicologica e forme di molestie e violenza sessuale. E’fondamentale – ha detto la Bianchelli – riuscire a riconoscere le dinamiche di sfruttamento lavorativo ma anche le dinamiche che riguardano la violenza di genere e la violenza domestica. In questo modo possiamo agire con maggiore forza nel contrasto del fenomeno e nella tutela delle vittime”.
Unhcr e l’OiL (Organizzazione internazionale per il lavoro) hanno elaborato una serie di indicatori ma anche dal confronto ragusano potrebbero emergere indicatori specifici di genere, quelli che riguardano proprio lo sfruttamento del lavoro femminile e che potrebbero implementare altre esperienze che si stanno conducendo in questo campo, e tra queste, quella della ‘Casa delle donne per non subire violenza’ di Bologna.
Un lavoro su due piani diversi, quello svolto da Bianchelli: uno dedicato alla formazione interna della Cop e uno alla comunicazione/formazione aperta alla cittadinanza e accreditata dagli Ordini dei giornalisti e degli Assistenti sociali
Il lavoro continua.