Pubblicato il 21 Febbraio 2024 | di Vito Piruzza
0Sicuri che sia proprio l’Europa la nemica delle nostre campagne?
Da qualche settimana il mondo agricolo è in subbuglio in diversi Paesi europei e in tutta Italia gli agricoltori si sono mobilitati invadendo con i trattori le strade e le piazze dello stivale.
La protesta è abbastanza spontanea, anzi, per quello che riguarda l’Italia, sostanzialmente in contrasto con le rappresentanze storiche della categoria accusate di essere poco incisive nelle rivendicazioni.
Le rivendicazioni principali sono relative alle normative green messe in campo dalla Commissione Europea, alle importazioni di prodotti dall’estero e nel caso italiano alla reintroduzione dell’Irpef sui redditi agrari da diversi anni esentati.
Cominciamo con il riconoscere che la situazione degli imprenditori agricoli è oggettivamente difficile, il comparto subisce un forte aumento dei costi dovuto alle varie tensioni internazionali (conflitto Ucraina-Russia e Mar Rosso per quanto riguarda i costi dell’energia), alle variazioni climatiche (la siccità obbliga a lunghi periodi di innaffiamento) solo per fare alcuni esempi e una contrazione del fatturato dovuto alle minori produzioni derivante dai vincoli di rispetto dell’ambiente o alle maggiori importazioni per sostenere economie da tutelare come quella ucraina o tunisina, e certo in questo contesto l’incremento di pressione fiscale, per quanto non esorbitante viene vissuto come un vero sopruso.
Quindi il disagio è vero e palpabile, ma la spontaneità della protesta cui la guida è stata assunta in alcuni posti dai leader dei “forconi” di alcuni anni fa, non sempre si concilia con una riflessione equilibrata sia delle criticità che attanagliano l’agricoltura sia dei veri obiettivi da perseguire.
Ed infatti la prima mèta da raggiungere con i trattori, anche per gli agricoltori italiani è subito stata individuata in Bruxelles. Analizziamo gli elementi di recriminazione: la transizione green proposta dalla Commissione Europea e approvata da tutte le associazioni di categoria risulta tanto “timida” da essere stata pesantemente criticata dalle forze ecologiste; per quanto riguarda poi i fitofarmaci addirittura il Parlamento Europeo aveva pure bocciato la proposta della Commissione, ma comunque l’Europa mette sull’altro piatto della bilancia in 7 anni ben 389 miliardi di fondi a sostegno dell’agricoltura che si traducono per l’Italia in ben 30 miliardi, una cifra di tutto rispetto. Per quanto poi riguarda il problema delle importazioni dall’estero tra gennaio e ottobre 2023, l’Europa ha esportato beni agroalimentari per un valore pari a 190,8 miliardi di euro, mentre l’import si è fermato a 132,8 miliardi: in soli 9 mesi un saldo positivo pari a 58 miliardi di euro, a giudicare dai numeri gli accordi internazionali non sempre sono un danno, spesso ci favoriscono.
La seconda mèta da raggiungere poi è stata individuata in Roma per rivendicare la conferma dell’esenzione dell’Irpef; il Governo, i cui partiti hanno abbondantemente fruito del consenso della categoria, si è affrettato a promettere di rimettere mano al provvedimento e, come ciliegina sulla torta ha promesso un incremento da 5 a 8 miliardi dei fondi del Pnrr da destinare al comparto agricolo (guarda caso anche questi fondi Europei!).
Premettendo la massima comprensione per la crisi che attanaglia il settore mi viene da chiedere: siamo sicuri che le vere cause della crisi siano quelle oggetto delle rivendicazioni?
Siamo sicuri che sia inevitabile il dilemma tra morire per l’inquinamento e morire di fame? Ricordo per esempio la condizione delle falde acquifere (peraltro ridotte) della nostra zona costiera che già sono sotto osservazione per via dei prodotti inseriti nel terreno… per quanto pensiamo di andare avanti?
La concorrenza con i produttori stranieri poi, meglio che con i dazi si vince con le etichettature che garantiscano la provenienza del prodotto, personalmente da anni oramai acquisto la pasta dai soli produttori che in etichetta mi garantiscono grano siciliano onde evitare il rischio glifosato…
Una seria riflessione, a mio avviso dirimente, va poi operata sulla catena del valore dei prodotti agricoli! È normale che all’imprenditore agricolo che mette il capitale, il lavoro e il rischio d’impresa vada una quota quasi sempre inferiore al 30% del valore finale del prodotto, e in alcuni casi anche inferiore al 20%?!?
Lo so, purtroppo le leggi del mercato nel nostro mondo sono sacre (a volte sembra che sia l’unica cosa sacra che la nostra società riconosca), ma viste le dimensioni (purtroppo o per fortuna) piccole delle nostre aziende agricole, perché non agire sulla filiera agricola con incentivi alla cooperazione e alla creazione di consorzi, invertendo la rotta dopo anni di demonizzazione della cooperazione (spesso con motivazioni ideologiche)?
La strada dei sostegni o delle protezioni doganali forse sarà più semplice e più immediata, ma difficilmente può essere risolutiva.
Per una volta proviamo a mettere in discussione le rendite di chi sulla filiera agricola fa affari a basso rischio!