Vita Cristiana

Pubblicato il 5 Marzo 2024 | di Redazione

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Nello sguardo di chi ha fede

La discesa della statua del Santo Patrono è riuscito a portare a sé un gruppo numeroso di cittadini, fedeli a tal punto da riempire la Chiesa fin fuori le mura. Una sera un po’ frenetica quella che il 26 febbraio ha dato il via alle celebrazioni per l’annuale Festa di San Giuseppe, patrono della comunità di Santa Croce Camerina.

Il suono rumoroso delle campane e delle bombe festose, che sono andate a braccio con la marcia melodiosa, intonata e ben organizzata del “Risveglio Bandistico Kamarinense”, banda concittadina guidata dal giovane Maestro Giuseppe Zisa. Il colore delle luci, semplici e armoniose da raggiungere il cuore di tutti i presenti attraverso qualche tipo di dispositivo mobile ha dipinto di nuovi tratti l’inizio di tutto. Un passo dopo l’altro, che ha trovato la sorpresa finale all’interno. La Chiesa Madre San Giovanni Battista, infatti, a differenza degli anni precedenti, si è riempita completamente.

Una folla di fedeli, gente di fuori e di paese, ha accolto con il suo abbraccio stretto la Statua del Santo Patrono. Quanti volti! Quanti suoni dietro le parole semplici di un bambino, piene di calore di un uomo o una donna innamorati, o pieni di speranza di una persona qualunque, che porta su di sé problemi, angherie sofferte e mal digerite!

Quante sofferenze da far sentire impotenti! Racchiuse in un sorriso forzato, le pene del cuore mortale risuonano a botte. Spesso non lasciano speranza e bloccano il fiato. Con il cuore impaziente, sebbene pesante, i fedeli attendono la discesa di Colui che, pur avendo contro tutti i costumi del tempo, accolse una donna che portava dentro di sé un bimbo, dai capelli biondi o castani, il volto paffuto, le guance rosa, lo sguardo birbante. Un bimbo vestito di un aspetto qualunque. La scintilla d’amore che rischiara il destino del mondo terreno, e riempie di luce i cieli di pace, allontanando tenebre e ombre dalle vite di ogni credente.

Un falegname che visse qui sulla terra il suo destino, tracciando i suoi passi sul ritratto di un sogno. In poche parole, un uomo di veri valori, un padre amorevole e presente, gran sognatore.

Sognatore: figura incompresa, quasi sgradita, soprattutto di questi tempi. Tempi in cui una buona posizione, un lavoro reale, concreto, una scalata innevata, fatta di tanti successi, anche di qualche compromesso e poche risposte a mille domande, valgono più di una carezza donata, di una mano posta a mezz’aria per aiutare e non per colpire a tradimento, o a qualche minuto speso ad ascoltare qualcuno che ne sente davvero bisogno. Tempi che all’incerto preferiscono la certezza della pura ragione, in cui il pazzo è solamente un sognatore che non dorme. Un emarginato sociale come molti, che però non ha voluto mai rassegnarsi, e a cui basta il calore di uno sguardo per ritrovare il coraggio.

Una figura come molti presenti, divenuto protagonista nell’omelia di questa domenica. Sia la Prima Lettura che il Vangelo, infatti, presentano a noi tre figure diverse di sognatori, a cui, infine, il sacerdote celebrante la Messa, Don Pino Iacono, ne aggiunge una quarta.

Dapprima abbiamo Abramo, uno che patriarchi dell’Ebraismo, del Cristianesimo e dell’Islam. Marito amorevole, uomo rispettato da tutti, rispettoso della religione e delle leggi, desideroso da sempre di diventare padre e formare una famiglia con Sara, sua moglie legittima, per molti sterile. Colui che strinse con Dio un’alleanza, affinché vi fosse per lui una numerosa discendenza, un territorio per farla crescere, libera da soprusi e da guerre, e la benedizione di tutti i popoli della terra. Era una voce soltanto, ma Abramo gli credette. Il tempo, però, passava e del figlio tanto voluto non vi erano tracce.  Giorni trascorsi, prove affrontate, terre abbandonate, privazioni, paure: nulla mancava, se non quello. Abramo cercò di credere, ma ebbe un cedimento. Spinto forse dalla povera Sara che iniziò a rassegnarsi, ebbe con una schiava un figlio di nome Ismaele. Dio, seppur deluso, lo perdonò di questo. Lui continuò ad aspettare e a pregare. Finché un giorno quelle preghiere furono ascoltate: lui e Sara generarono un figlio di nome Isacco. La casa di Abramo si riempì di gioia, e le promesse fatte sembrarono più che mai diventare reali. Ma le nuvole non abbandonarono il cielo, e presto tornarono a addensarsi. Scese sulla terra un angelo, portatore di una richiesta angosciosa, crudele: Isacco deve essere sacrificato. Come un agnello, sacrificato su di un altare costruito proprio dallo stesso Abramo, lui sarebbe dovuto morire. Dio chiede a quell’uomo di ridare indietro il figlio amato e voluto da tempo. Abramo, da uomo fedele, non può fare altro che acconsentire. Accompagnato dal figlio, egli saluta la moglie, e si dirige al luogo del sacrificio. Nel compiere l’atto, però, i sentimenti paterni, umani, prevalgono. La fede cede, il pugnale cade dalla mano, l’uomo, con le lacrime al volto, cade in ginocchio. Non riesce a continuare. Con sua sorpresa, sarà proprio il figlio a incitarlo a continuare, a perdonarlo, a pregarlo di non far scemare la sua fede. Seguendo le preghiere del giovane, a malincuore, egli riprende in mano la lama affilata. Di fronte a questo, a tale dimostrazione di fede, la mano dell’angelo lo ferma.

Voltiamo pagina.

Stavolta abbiamo di fronte Gesù, che fra gli apostoli che lo seguivano prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e insieme si recarono su di un monte molto alto. Lì, davanti a loro, Gesù fu trasfigurato, le loro vesti divennero di un bianco ultraterreno, e apparvero loro Elia con Mosè, che conversarono con Gesù. D’un tratto, la loro vista fu appannata dalle nuvole e non riuscirono più a vedere nulla, finché non venne il momento di scendere dal monte, e andarsene. Al ritorno, il Maestro chiese loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto, se non fino a quando lui fosse risorto. Abramo, Isacco, gli apostoli Pietro, Giacobbe e Giovanni: uomini diversi, vissuti in luoghi e tempi diversi, che hanno vissuto esperienze, prove, dolori, destini diversi, accomunati tutti dalla fede. Una fede che a volte ha vacillato, spesso ha vissuto momenti difficili, ma che li ha sempre accompagnati, e mai ha lasciato i loro cuori. Un credere in qualcosa che non si poteva vedere, che li avrebbe portati senza dubbio a scelte difficili, ma la cui ricompensa sarebbe stato il più bello dei doni.

Infine, Giuseppe, falegname abile, uomo umile, credente.

In un’epoca in cui, sotto l’egidia dell’Impero romano, dei re corrotti e dei Sommi Sacerdoti, i costumi, le tradizioni e le leggi non scritte erano tutto, egli si innamorò di una giovane donna che aveva meno della metà dei suoi anni, decise di sposarla, e, saputo che lei aspettava già un figlio, non la ripudiò pubblicamente, ma si allontanò da lei in segreto. Informato della verità attraverso un sogno, egli la sposò ed ebbe con lei il bimbo in una mangiatoia. Con loro formò una famiglia che protesse ad ogni costo, guidato da Dio attraverso la voce dei sogni. Credendo ad ogni parola attraversò terre, delusioni, sconfitte e misteri dei quali non avrebbe avuto risposta.

Egli visse, amò, forse dubitò, ma fino in fondo credette. Attraverso i suoi gesti, il suo esempio, egli ha oltrepassato quei tempi, che tanto ci appaiono lontani, e ogni anno raggiunge i cuori di ogni fedele, passato e presente. Attraverso i suoi occhi, il suo sguardo riflette la luce celeste e riscalda con amore di padre ogni uomo, donna, bambino che Dio può chiamare figlio.

Ed è proprio attraverso la musica, i canti dei bambini dei cori “La vita è bella KIDS” e “Note colorate”, della Schola Cantorum parrocchiale, attraverso le luci, le preghiere, la presenza dei sacerdoti, dei diaconi , dei vari ministri e ministranti, del Sindaco e della Giunta Cittadina, e i gesti del Comitato Festeggiamenti, portatori orgogliosi della propria divisa, che l’amore verso l’Umile Falegname si mostra.

Necessità, fede, speranza d’una guida nella tempesta: anche quest’anno, è giunto il momento della discesa del Santo, l’inizio di tutto.

Martina Lorefice

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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