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Pubblicato il 18 Aprile 2024 | di Alessandro Bongiorno

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L’ultimo clic del maestro Peppino Leone

Sin da bambino fu attratto dalle scene dei matrimoni cui partecipava accompagnando il padre che era l’organista di San Giovanni Battista. A 14 anni scattò le sue prime immagini da garzone del fotografo Antoci cui rubò l’arte e i trucchi del mestiere. Di suo ci mise un occhio non comune e la poesia. Da allora non ha più smesso e oggi a Ragusa non c’è famiglia che non abbia un album di matrimonio o di una cerimonia firmato da Giuseppe Leone.

La notizia della sua scomparsa, all’età di 88 anni, ha lasciato orfana più di una generazione. Proprio poche ore prima il Comune di Ragusa aveva inaugurato a Palazzo Zacco un museo cittadino una cui sezione è proprio dedicata all’arte di Peppino Leone (qui ritratto da Marcello Pace, che ci ha messo gentilmente a disposizione la foto nella chiesa dell’Idria prima di una processione). «Ragusa – ha detto il sindaco Giuseppe Cassì facendosi interprete dei sentimenti di tutti – perde uno dei suoi più alti esponenti. Peppino Leone non è stato solo un fotografo siciliano ma la Sicilia in fotografia. Le sue straordinarie amicizie letterarie, il suo impegno per raccontare luoghi e umanità degli Iblei, per valorizzare eccellenze come il Palazzo della Prefettura e al tempo stesso le nostre tradizioni più intime».

Con la sua Leica analogica ha creato degli autentici affreschi ispirandosi alle campagne del Ragusano, ai muri a secco, alle chiese e ai monumenti del barocco, ai volti della Sicilia del Dopoguerra con le sue feste di paese, i matrimoni, i piccoli grandi eventi di un mondo che usciva fuori dalle sue immagini per tornare vivo. E diventare eterno. Sfogliando le oltre 50 pubblicazioni, riemerge una Sicilia che in parte non c’è più ma che è rimasta, oltre che nei negativi di Leone, nel cuore dei siciliani. Il bianco e nero, le ombre, il chiaroscuro esaltano volti, spazi, paesaggi, cattedrali, campagne, paesi, vicoli, santi, patroni, bande, vizi, virtù cogliendo e consegnando al tempo istanti e sentimenti. Amico di altre grandi espressioni della cultura siciliana del secolo scorso (Leonardo Sciascia su tutti ma anche Gesualdo Bufalino, Enzo Sellerio, Vincenzo Consolo), si è immerso nel suo tempo, fermandolo in un fotogramma, e nel suo mondo trasformandolo con semplicità in poesia.

Lo scatto del 1982 che ritrae Leonardo Sciascia, tra Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino in un’espressione che si apre a una fragorosa risata, il treno a vapore che sbuffa sospeso nel ponte sul San Leonardo con Ibla sullo sfondo (il suo primo capolavoro ritratto a soli sedici anni), il melicucco che dona ombra a una cavalla e alla soleggiata campagna ragusana lungo la strada che collega il capoluogo ibleo a Chiaramonte Gulfi, il carretto che nel 1957 avanza sullo sfondo di una ciminiera sono quattro delle sue fotografie entrate nella memoria collettiva. Ognuno ha poi un’immagine che collega a un istante della propria vita e che Leone ha reso eterno. Come eterna è ora la sua arte.

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Autore

Giornalista, redattore della Gazzetta del Sud e condirettore di Insieme. Già presidente del gruppo Fuci di Ragusa, è laureato in Scienze politiche.



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