Pubblicato il 10 Giugno 2024 | di Alessandro Bongiorno
0C’è ancora una maggioranza europeista che guarda avanti
Una prima analisi del voto elettorale europeo non può prescindere da un paio di dati di partenza: la scarsa partecipazione dei cittadini ai processi democratici e la presenza di una chiara maggioranza europeista sia in Italia che in Europa. Il primo dato preoccupa, il secondo lascia pensare che il percorso di integrazione europea non si interrompa nel 2024.
Partecipazione. Preoccupa, e molto, l’astensione. Oggi la democrazia è tornata a essere in discussione. Alcune delle più grandi potenze mondiali (anche nucleari) non sono più rette da leader democratici: Russia, Cina, Corea del Nord e Stati Uniti (se dovesse imporsi Trump) saranno in mano ad autocrati che hanno già dimostrato il disprezzo per ogni regola democratica, mal imitati anche da Israele che continua a considerare carta straccia tutte le risoluzioni dell’Onu. Non è un caso che, con l’appassire della democrazia, sia tornata a riaffacciarsi la guerra e alla diplomazia si sia sostituita l’eco delle armi. Il non voto quindi non solo preoccupa ma allarma e chi ne sottovaluta la portata commette una grossa ingenuità.
Europa. L’altro aspetto è che chi è andato a votare ha chiesto all’Europa di proseguire su un cammino di integrazione tutt’altro che scontato. Popolari europei, socialdemocratici, liberali sono ancora maggioranza (la stessa che ha dato vita alla commissione di Ursula von der Leyen), una maggioranza che potrebbe essere allargata in modo ulteriore con il coinvolgimento dei Verdi. È stata la maggioranza che ha tirato fuori l’Europa dalla pandemia e dalla crisi energetica e che provato a fronteggiare un’emergenza bellica alla quale non era pronta. L’Europa a trazione delle destre, rinchiusa dentro sovranismi più legati a forme di stato del passato piuttosto che del futuro, ipotizzata da Meloni e Orban non c’è. Con il successo dei neonazisti in Germania e di Le Pen in Francia sarà molto difficile che il Ppe accetti alleanze con la destra estrema. Al momento, sia in Italia che nel resto d’Europa c’è una chiara maggioranza europeista. Forse non sufficiente a rendere protagonista l’Europa negli scenari multipolari ma il processo d’integrazione non si ferma e ora andrà velocizzato con quelle riforme senza le quali sarà impossibile proseguire. Riforme che dovranno rendere più certi e rapidi i processi decisionali, dare autorevolezza all’Europa fuori dai suoi confini, rendere più uniformi le politiche sociali e fiscali.
Destre e populismi. Un altro aspetto più propriamente politico emerge da queste elezioni. I populismi legati a uno slogan e al partito-persona (Macron in Francia, i 5 Stelle in Italia) si sono sgonfiati, come era inevitabile, e i loro elettori hanno scelto le destre, anche radicali. Non deve stupire. Chi va alla ricerca di un capo da seguire e di una semplificazione estrema di processi – che sono e restano invece complessi – è inevitabile che si lasci attrarre dalle destre che hanno ricette da questo punto di vista più convincenti.
L’Italia. Per quanto riguarda l’Italia, gli elettori hanno confermato fiducia alla maggioranza e alla presidente Giorgia Meloni, hanno premiato Forza Italia (che ha allargato i suoi confini a piccoli partiti della galassia liberale ed ex democristiana), hanno spostato all’estrema destra la Lega. Dall’altra parte dello schieramento, franano i moderati ed escono ridimensionati i 5 Stelle. Il Pd migliora il suo risultato ma resta lontano da quel 40% che aveva raggiunto quando si poneva come interlocutore sia dei moderati che dei socialdemocratici. L’alternativa a Meloni oggi non c’è.