Società

Pubblicato il 1 Agosto 2024 | di Enrico Giordano

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Così la cultura del dono crea il capitale sociale di una comunità

Ci sono parole, anche “belle”, che siamo abituati a vedere in un certo contesto, ma fuori da quel contesto spiccano di più. Così ha attirato la nostra attenzione leggere “Il dono: gesto eversivo di libertà e relazione” come titolo di un incontro promosso dal Comune, dal Centro di Servizio per il Volontariato Etneo e dai gruppi Scout di Ragusa presso il Centro Polifunzionale di Ragusa.

Ha già introdotto il tema il sindaco Giuseppe Cassì rivendicando agli iblei «la propensione a rendersi utili, mettere su reti di collaborazione, di cooperazione» a favore di progetti socialmente utili. «È molto spiccato – ha continuato Cassì – nel ragusano medio l’idea di comunità, il potere… di fare qualcosa che possa servire agli altri in un contesto di comunità» a partire dai propri ruoli, qualità o caratteristiche.

Il tema dell’incontro è stato poi ampiamente illustrato da Giovanni Iacono, assessore allo Sviluppo di Comunità e vero regista dell’incontro: il dono, dare «in forma gratuita ed incondizionata» è un gesto naturale, ma anche un criterio alternativo (meglio eversivo) al calcolo costi/benefici che invece imperversa nella nostra società e con quali risultati è sotto gli occhi di tutti. La cultura del dono contribuisce a costituire il “capitale sociale” di un popolo. Si diventa comunità – ha proseguito Iacono – quando si acquisisce la consapevolezza che ognuno di noi ha dei doveri, non solo verso se stesso, non solo verso la propria famiglia, non solo verso il clan, non solo verso la propria associazione, ma soprattutto verso l’altro generalizzato, che non conosciamo, lo straniero, l’estraneo».

Prontamente si è inserita Tiziana Da Dalt, presidente dell’Ordine degli Assistenti sociali del Friuli Venezia Giulia portando la sua testimonianza sul “Progetto Vallenoncello”, un quartiere di Pordenone, nel quale si erano creati i presupposti per una tempesta sociale perfetta: palazzoni di immigrati stranieri incuneati in una popolazione anziana dalle origini agricole: cultura, etnia, religione, valori tutti diversi. È bastato un corso di cucina (ma anche tanto lavoro di volontari e assistenti sociali) nei locali della parrocchia per dare la possibilità alle due comunità di conoscersi, di fondersi creandone una nuova dove tutti possono contribuire al bene comune.

Dell’agire agapico ha pure parlato Salvatore Poidomani, segretario del Sunas (sindacato degli assistenti sociali, ma anche presidente provinciale dell’Avis), ma anche della necessità di non sostituire i professionisti sul campo con i volontari, ma operare sinergicamente.

Dalle statistiche del Censis illustrate da Ketty Vaccaro, responsabile Area Salute e Welfare, emerge un diffuso «sonnambulismo» degli italiani «ciechi di fronte ai presagi» di crisi imminenti (demografia, ambiente, sanità), ma incapaci di porre rimedio con atti razionali, condivisi o meno; ma si può ripartire dalle piccole comunità, dall’associazionismo già orientato non solo all’affronto disagio, ma anche agli interessi generali della società.

Degna conclusione di questo primo incontro è stata data dalla testimonianza di Marco Santoro (Oasf-Vg) che ha condiviso la sua personale esperienza di disabilità di due fratelli: «La mia famiglia fortunatamente non si è mai arresa…facendomi capire come si poteva amare l’altro senza mai chiedere nulla in cambio». Così da un bisogno personale condiviso è nata una associazione di famiglie, un mezzo di trasporto, una casa, una comunità attorno al rispetto della «persona nella sua unicità, nella sua integrità».


Autore

Nato a Ragusa nel 1959. Bancario dal 1979 al 2022. Aderisce all’associazionismo ecclesiale ed è dedito al volontariato rivolto verso l’aiuto alimentare agli indigenti e per il rispetto del diritto alla vita. Già direttore di Insieme e presidente del Movimento per la Vita di Ragusa.



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