Pubblicato il 8 Ottobre 2024 | di Redazione
0«L’uomo nascosto del cuore»
Nell’ultima settimana di settembre, noi seminaristi, che a partire da quest’anno proseguiremo il nostro percorso formativo presso il Seminario interdiocesano Regina Apostolorum con sede in Catania, abbiamo partecipato al corso di esercizi spirituali di inizio anno formativo predicati da monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo.
La settimana di esercizi spirituali si configura sempre come un kairòs, un tempo propizio e fecondo in cui lasciarsi condurre dal Signore nel deserto e sentirsi sedotti da Lui e dal suo amore (cf. Os 2,16). Ogni anno formativo inizia sempre con un corso di esercizi spirituali che, oltre ad essere occasione di crescita spirituale, imprime una direzione, un modus vivendi, una proposta formativa per il nuovo anno che comincia.
La tematica affrontata quest’anno è stata tratta dalla Prima Lettera di Pietro, nella quale l’Apostolo parla dell’«Uomo nascosto del cuore» (1Pt 3,4).
Il cammino spirituale fatto durante gli esercizi ha avuto la doppia caratteristica di essere al contempo catartico-catabatico e anabatico. Per introdurci, infatti, alla presenza dell’«uomo nascosto del cuore» occorreva smontare quelle false immagini o credenze su Dio e su noi stessi, facendo sì che si tornasse all’essenziale, cioè alla nostra fondamentale appartenenza a Cristo in virtù del Battesimo. Era necessario, difatti, ritornare all’origine di tutto, al momento cioè in cui l’«uomo nascosto del cuore» ci ha inabitati, stabilendo la sua tenda in mezzo a noi, dentro di noi (cf. Gv 1,14).
L’icona biblica che ci ha accompagnati in questo lavoro è stata la parabola dell’uomo saggio che stabilisce le fondamenta della sua casa sulla roccia e non sulla nuda terra. Ritornare a “picconare”, a scavare, anche a mani nude, per verificare lo stato delle nostre fondamenta spirituali, per accertarsi, anzitutto, che il nostro intero vivere, muoverci ed esistere (cf. At 17,28) sia ben saldo sull’unica Roccia, Cristo Signore, la pietra angolare scelta e preziosa davanti a Dio.
Il secondo momento ha avuto, invece, un forte carattere anabatico, che ha posto al centro l’«uomo nascosto del cuore», cioè Gesù Cristo, il Messia, l’Unto dal Padre. Il momento anabatico ha mosso i primi passi proprio da questa consapevolezza: non possiamo definirci cristiani senza riconoscere la nostra identità messianica, cioè di unzione, non solo nel segno visibile del Battesimo e della Confermazione, ma come stile di vita umano e pastorale; cristiani, cioè testimoni di un incontro personale con Cristo, che abbiano con Lui fatto l’esperienza della croce e della resurrezione.
Questa consapevolezza ha portato a riflettere sui problemi attuali della Chiesa e sulla crisi che il Cristianesimo sta vivendo in Occidente: non siamo più disposti a perdere la vita dietro il Vangelo; non siamo più disposti ad essere servitori dell’Evangelo sull’esempio di Cristo che, pur essendo Capo del gregge santo, non è venuto per farsi servire, ma per servire (cf. Mc 10,45), Egli che ha svuotato se stesso assumendo la condizione di servo (cf. Fil 2,6-7) perché per mezzo della sua povertà noi diventassimo ricchi (cf. 2Cor 8,9).
Tutto questo ci ha permesso di edificare con gradualità e consapevolezza il nuovo edificio spirituale, che resta sempre in costruzione, ma che assume i connotati diversi di una vita santa e non più scialba. Una vita che palpita in un cuore semplice come quello di un bambino, come ne era consapevole Jan Twardowski: «Io, un prete, credo a Dio come un bambino».
Mattia Mazza