Pubblicato il 27 Ottobre 2024 | di Mario Cascone
0Riconosci, o cristiano, la tua dignità
Risuonano perennemente attuali le parole del Papa San Leone Magno, che la Liturgia delle Ore ci propone nel tempo natalizio: “Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare all’antica bassezza con una vita indegna. Ricorda a quale Capo appartieni e di quale Corpo sei membro. Ripensa che, liberato dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel Regno di Dio”.
Si moltiplicano oggi i discorsi sulla dignità dell’uomo. A parole tutti dicono di volerla difendere e promuovere, nei fatti, invece, assistiamo a forme gravissime di vilipendio e di calpestamento di questa dignità. Già nel 1988, nella Christi fideles laici, Giovanni Paolo II aveva messo in luce questa contraddizione, rilevando che, mentre si fa più viva la coscienza della dignità personale di ogni essere umano, sono tante le offese perpetrate oggi contro la persona umana: “Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani” (n.5).
Dove risiede, in ultima analisi, la causa fondamentale di questa palese contraddizione in cui si dibatte oggi la nostra umanità? Perché mentre si fa più vivo il senso della dignità della persona nello stesso tempo si assiste a forme gravissime della sua violazione? La risposta a queste domande risiede probabilmente nelle diverse concezioni di umanesimo che oggi sono presenti nella nostra cultura. C’è un umanesimo ateo, che esalta a tal punto la grandezza dell’uomo da giungere a vere e proprie forme di idolatria nei suoi confronti. Questo mettere l’uomo al posto di Dio, che ci fa riassaporare il vecchio peccato di Adamo, si risolve però facilmente in una sorta di autoannullamento dell’uomo stesso, dal momento che egli sperimenta presto la sua finitudine e difficilmente trova in se stesso le risposte ai suoi interrogativi fondamentali. L’uomo che pretende di fare a meno di Dio finisce con l’autodistruggersi o, per lo meno, col sottovalutarsi: non sono pochi infatti oggi a pensare che l’animale valga più dell’uomo ed è meritevole di un maggiore rispetto. Uno degli autori di bioetica laica più conosciuti, Engelhardt, scrive che «la vita mentale di feti e infanti di certo non è quella autocosciente degli agenti morali, sicché si può dire che lo status morale dei mammiferi adulti non umani è superiore a quello dei feti umani e degli infanti».
Non c’è bisogno di molte parole per commentare queste agghiaccianti affermazioni, che ci fanno comprendere dove finisce la pretesa grandezza dell’uomo sganciata da Dio. Questo ci fa capire quanto sia vera la Rivelazione biblica, dove ci viene insegnato che quando l’uomo pretende di mettersi al posto di Dio e di fare a meno di Lui, smarrisce il senso della sua dignità, viene cacciato fuori dal giardino di Eden e assapora tutta la fatica del suo vivere. Dio però non abbandona l’uomo a questo destino di perdizione. Egli, che è Amore, non può sopportare la morte della creatura fatta a sua immagine e somiglianza e destinata all’eternità.
Già nell’Antico Testamento risuona più volte il richiamo all’insopprimibile dignità di ogni uomo. I profeti a più riprese e con toni forti denunciano le gravi ingiustizie perpetrate nei confronti dei poveri, bollandole come offese dirette al Creatore (Is 1,14-17; Ger 2,34; Am 2,6-8;4,1). Il meraviglioso salmo 8 canta in modo superbo la grandezza dell’uomo, fatto a immagine di Dio: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8, 4-7).
Ma è soprattutto in Gesù che si manifesta pienamente la dignità dell’uomo. Egli viene nella “pienezza del tempo” (Gal 4,4) per rivelare in “pienezza” quanto sia grande agli occhi di Dio ogni uomo. La Gaudium et spes sottolinea che “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” e che Cristo “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione” (n. 22). Nello stesso testo si dice che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” per condurlo a scoprire, nella dinamica d’amore della sua morte e risurrezione, la destinazione eterna che il Padre ha preparato per ogni creatura umana.
Ognuno di noi certamente è assillato da interrogativi inquietanti, da numerose tribolazioni e, soprattutto, dalla certezza di dover morire. L’associazione al mistero pasquale di Cristo fortifica la nostra speranza e ci dona la certezza che la nostra vita è destinata alla risurrezione. “E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (GS 22).
Cristo è il primogenito dell’umanità rinnovata nell’amore del Padre, che si riversa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito (Rom 5,5). In Lui ogni uomo conosce il suo vero volto: quello di figlio di Dio, destinato all’eternità! Questo ci impone di amare ogni uomo e di riconoscerne la grande dignità. Nei barconi stracarichi di immigrati che vanno alla ricerca di un futuro migliore, nei perseguitati politici, nei milioni di bambini che ogni anno muoiono di fame o in quelli che sono vittime della pedofilia, nelle numerose donne ancora tenute in uno stato di subordinazione, costrette a “vendersi” nella prostituzione: in tutti questi esseri umani noi riconosciamo i figli di Dio, creati a immagine di Gesù e destinati alla gloria. E con la forza della fede, che si traduce in carità operosa, diciamo le stesse parole che Pietro pronunciò alla porta del tempio per risanare lo storpio: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!” (At 3,6).
Nei barconi stracarichi di immigrati,
nei perseguitati politici,
nei milioni di bambini che muoiono di fame
nelle donne tenute in uno stato di subordinazione
noi riconosciamo i figli di Dio,
creati a immagine di Gesù e destinati alla gloria