Pubblicato il 29 Ottobre 2024 | di Mario Tamburino
0La fede viva di un uomo semplice
«In alto i cuori. Peppe Lenzo, la fede viva di un uomo semplice» (ed. Itaca) è il titolo della presentazione del libro a cura del Centro Socio Culturale Ibleo che, venerdì 27 settembre ha avuto luogo presso il Centro Culturale Commerciale di Ragusa.
Nel contesto di una Chiesa contemporanea che indica nel passaggio “dal culto alla cultura” il passo di responsabilità dei laici, la storia di Peppe Lenzo, agronomo di Patti, morto per un tumore nel 2021, esemplifica in modo semplice ma potente, il contributo del laico (cioè del cristiano) al destino del mondo post-moderno.
Per don Lirio Di Marco, sacerdote, docente a Palermo di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica di Sicilia, autore del volume, l’ordinarietà straordinaria della testimonianza di quest’uomo consiste nel fatto che «pian piano, dentro le circostanze normali della vita, egli ha ceduto al disegno che Dio dipanava». Fino alla consegna totale di sé sussurrata al telefono a papa Francesco nella forma di un triplice “sì”, l’8 settembre del 2021, il giorno prima della sua morte.
«Il “sì” a Dio – afferma don Lirio davanti al vescovo di Ragusa – non è uno spiritualismo. Questa affezione a Cristo egli l’ha incontrata e imparata sino alla maturità, nella Chiesa». Esistenzialmente, però, la parola “chiesa” si declina nel volto di amici concreti che introducono uno sguardo nuovo dentro la vita. E così, per Peppe, che a quindici anni, dopo la morte prematura del fratello confidava al suo diario, cuore pulsante del libro, di non avere «nulla in mano per alzarmi la mattina», nell’imbattersi con l’esperienza cristiana nata da don Giussani si palesa un orizzonte di ipotesi più vasto da verificare: quello della resurrezione. Un’ipotesi che riguarda persino la dimensione affettiva fino a fargli dire: «non posso più scherzare con le ragazze».
Nell’incontro con Vitalba, futura moglie, che nelle pagine del diario definisce «bella, intelligente e folle», la concretezza di quell’incontro si rende presente in modo ingombrante. «Fin dall’inizio – racconta Vitalba Lombardo non senza ironia – nel rapporto tra me e Peppe eravamo in troppi: io, lui e tutto il popolo che aveva incontrato da ragazzo prima e da adulto poi». Naturalmente con il corollario di incontri a cui partecipare, cene affollate da preparare e amici da ospitare. Altro che Giulietta e Romeo!»
Per Peppe, invece, la realtà è una e vi aderisce come se fosse sempre l’abbraccio di Gesù. Persino se ha la forma del licenziamento di entrambi che si annuncia come un fulmine a ciel sereno durante la loro luna di miele. «Peppe – ricorda la moglie – reagì come al solito con poche parole: “Non so perché accade questo – disse – ma il Signore non mi ha mai abbandonato”». E così arrivano i figli; alterne vicende lavorative lo portano lontano da Capaci, dove si sono trasferiti, nelle campagne di Mazzarino, si creano nuove amicizie; sino alla scoperta del male.
«Quando l’oncologo mi rivelò che il tumore era già al quarto stadio con diverse metastasi – racconta Vitalba – decisi di non dire nulla. Naturalmente Peppe ci mise un minuto a farmi crollare. E si arrabbiò. “Tu non devi nascondermi nulla – disse secco – perché io devo sapere dove il Signore mi porta”». Nel rapporto con Dio è possibile affrontare tutto e quel popolo che prima era avvertito quasi in competizione con l’affetto che si pretende per sé diviene sostegno insostituibile. «Un giorno, rientrando a casa mia figlia Benedetta commentò: “Meno male che tutto questo è successo a papà” e vedendomi sorpresa spiegò: “Lui può sopportarlo perché non è solo”».
Nel corso dei mesi Vitalba vede il marito tranquillo. «Troppo tranquillo! Io invece ero furiosa e impaurita. “Ma tu preghi per la tua guarigione?” lo investii poco prima della fine. “Io prego, libero dall’esito” rispose e, prevenendo le mie obiezioni, aggiunse: ”Vitalba, se guardi solo all’esito ti perdi tutto il resto lungo la strada. Io sono davanti al Mistero e mi fido”. «Un santo della porta accanto» lo ha definito mons. La Placa. Un uomo semplice in cui la fede diventa cultura, cioè una vita sempre viva.