Pubblicato il 30 Ottobre 2024 | di Saro Distefano
0Raccomandazione? No, grazie! La lezione di Giuseppe Agnello
Un regime autoritario, totalitario, come fu quello fascista per circa 22 anni nell’Italia degli anni 20, 30 e 40, si caratterizza anche per le vessazioni nei confronti degli intellettuali “scomodi”, quelli accusati di pensare con la loro testa. Quale che sia l’ambito del pensiero.
Una storia che si è consumata da queste parti in quegli anni è assai significativa. Perché coinvolge dei giganti del pensiero, dei veri protagonisti della storia siciliana, colti nella loro dimensione umana, personale. Nel caso in ispecie il celeberrimo Paolo Orsi, archeologo di fama mondiale, e il suo allievo Giuseppe Agnello, di Canicattini Bagni.
Agnello, ancora giovanissimo, oltre a collaborare con Orsi, divenne professore di Lettere nei Licei della provincia di Siracusa (nella quale, fino al 26 dicembre 1926, era inclusa quella che poi diventerà la Provincia di Ragusa). Piccolo dettaglio: Agnello era un antifascista. Iscritto al Partito Popolare, era soprattutto un cattolico democratico, fortemente antifascista, contrario al regime dittatoriale che Mussolini aveva instaurato in Italia.
Non solo. A differenza di tantissimi italiani dell’epoca, il professore Agnello dichiarava la sua convinta opposizione al regime. Ad ogni occasione.
E il regime non perse tempo a reagire. Ai primi del 1926, quando Giuseppe Agnello era un trentottenne stimatissimo professore del celebre Liceo Gargallo di Siracusa, gli venne consegnata la lettera di trasferimento a Cento, cittadina in provincia di Ferrara, attraversata dal fiume Reno. Era l’ultimo provvedimento per tentare di convincere Agnello ad essere fascista, o quantomeno a non rompere le scatole al Regime. Nei mesi precedenti, infatti, non erano state sufficienti le minacce e le diverse aggressioni (s’intende fisiche, quelle che da queste parti sono “i lignati”) anche nella pubblica strada, al centro di Siracusa.
Ed ecco il colpo di scena. Molto significativo su cosa vuol dire essere uomini, con la spina dorsale dritta. Succede che Paolo Orsi, saputo del trasferimento del suo allievo e prezioso collaboratore, lo incontra al Museo di Siracusa e gli dice: «professore, parto per Roma per ottenere una sollecita riparazione».
Agnello si commuove, e non poteva essere diversamente. Però reagisce come Paolo Orsi (e chiunque al suo posto) non si poteva aspettare: «Senatore – gli dice Agnello – le sono grato di tanta generosità. Se tiene però alla mia amicizia la prego di disinteressarsi del caso mio, perché provvedimenti immorali di un governo immorale non vanno presi in considerazione».
Giuseppe Agnello racconterà poi che il suo atteggiamento «non proveniva da superba iattanza, ma da una semplice considerazione di fatto: ogni tentativo di sanatoria sarebbe stato reso vano, in futuro, dal mio mancato conformismo alle direttive del regime. Avrei finito, in conclusione, coll’esporre l’insigne studioso ad un affronto, non dico pericoloso, ma almeno inutile».
Agnello partì per Cento, dove approfittò per studiare i monumenti artistici della Romagna. Ai fascisti non poteva bastare. Anzi, infastidiva sempre di più questo cattolico antifascista, democratico, che non batté ciglio e non si sottomise mai. Il ministro Pietro Fedele, anche lui senatore, inviò ad Agnello una richiesta di giustificazione per una serie di capi d’accusa ovviamene tutti inventati. Agnello rispose con una formale lettera con la quale respingeva ogni accusa. Il regime ne aveva le tasche piene: il 6 ottobre 1926, appena iniziato l’anno scolastico, mandò al professore siracusano la lettera di licenziamento con decorrenza immediata. Giuseppe Agnello torna a Siracusa. Sopravvive grazie alle lezioni private di greco e latino. Suo figlio, studente universitario a Firenze, venne arrestato e tenuto in carcere quasi un anno senza alcuna accusa se non quella di essere il figlio di un noto antifascista.
Caduto il regime che Agnello aveva appellato «immorale», l’archeologo diventa Provveditore agli Studi della Provincia di Siracusa, nel mentre nella confinante provincia di Ragusa il ruolo era ricoperto da Giovanni Antonio Di Giacomo, il celeberrimo Vann’Antò. Agnello fu anche Deputato alla Consulta per circa un anno tra il 1945 e il 1946, per poi dedicarsi esclusivamente all’insegnamento della “Archeologia Cristiana” all’Università degli Studi di Catania. Morirà a Siracusa il 28 settembre 1976 a 88 anni d’età.