Società

Pubblicato il 19 Aprile 2016 | di Mario Tamburino

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“Profughi e noi, tutti sulla stessa strada”

«Sono rimasta colpita e commossa dal video di Myriam, la bambina fuggita insieme ai suoi genitori da Qaraqosh, il villaggio nel Nord dell’Iraq vicino Mosul, cacciati dalla loro casa e dalla loro terra perché cristiani. Tante volte in questi mesi ho desiderato che di quel volto non restasse solo un’emozione, ma che divenisse una provocazione alla mia vita».
Sul palco del Piccolo Teatro della Badia, a Ragusa, sabato 9 aprile, col patrocinio del Centro Socio Culturale Ibleo, Daniela Corallo, infermiera, dà voce alle ragioni del Concerto pro AVSI del Duo Heliantes dal titolo: “Profughi e noi, tutti sulla stessa strada”.

Le parole di Daniela descrivono bene il senso di angoscia e di impotenza con cui tutti assistiamo quotidianamente alle dolorose immagini di popoli in fuga, di gente cacciata da un giorno all’altro da luoghi cari e consegnati al mare, perché, semmai, li risputi su altre sponde.

Che fare quando i problemi ci sovrastano, quando le decisioni politiche da prendere sono complesse e, nella migliore delle ipotesi, dovrebbero mettere insieme il bisogno di chi ci bussa alle porte e la sicurezza di chi, quella porta, dovrebbe aprirla coniugando solidarietà e prudenza. Tutte questioni davanti alle quali l’io concreto della singola persona, quasi sempre, finisce per affogare nel pantano rassegnato del “cosa posso farci io”.

«Certi gesti possono sembrare irrilevanti» -spiega Daniela– eppure, attraverso di essi passa quella linea sottile per cui si resta paralizzati dalla paura, oppure si introduce dentro la vita personale e di tutti una linfa nuova di speranza. «Come è accaduto a Bruxelles, dove la gente, dopo gli attacchi, ha accolto in casa propria quanti, feriti o impauriti, fuggivano per le strade».

Dire, “io c’entro” è possibile. Se non si è da soli. Così l’infermiera chiede aiuto alle amiche. Donne normalissime che non rinunciano al desiderio di essere protagoniste del tempo che vivono. Maria Concetta, Enza, Lidia, Elvira, Maria, Giuseppina e Valentina; il medico, le casalinghe, la prof, l’impiegata di banca, il chimico e poi Anna e Silvia, studentesse slovacche in Sicilia per l’Erasmus, tutte disposte a tenere spalancate le porte dell’accoglienza e della condivisione mettendo a disposizione, chi la maestria nella preparazione di assaggi di sapori della nostra terra che sanno ancora stupire, chi semplicemente servendo quanti hanno aderito alla serata.

Prima, però, c’è la musica ad esprimere il grido di una umanità spesso smarrita; piena di rabbia per l’ingiustizia di vecchi e nuovi padroni, di amarezza per l’amore non corrisposto, trafitta dal dramma del dolore innocente, eppure ancora inspiegabilmente disposta a cantare l’amore e il desiderio “di non morire mai”.

Un repertorio, quello proposto da Fiammetta e Serena Poidomani, appassionante. Nell’armonia delle due voci risuonano le melodie del Mediterraneo, dall’Italia alla Spagna, dalla Grecia al Portogallo.

E poi il video di Myriam. La bimba di nove anni profuga ad Erbil, la zona dell’Iraq sotto il controllo curdo. Niente odio nelle sue parole, nessun risentimento. Solo una grande nostalgia per i giochi e le amiche di un tempo nel villaggio dove vivevano in pace. Un’unica certezza: «Dio si prende cura di Noi». Si può perdere tutto e non smarrire l’essenziale; quel rapporto che permette di attraversare ogni circostanza e che fiorisce sulle sue labbra come un sorriso, come la parola «perdono». Cristo compagnia all’uomo: profughi e noi, tutti sulla stessa strada. Non da soli.

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