Vita Cristiana

Pubblicato il 30 Maggio 2016 | di Mario Cascone

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Pentecoste la legge “che è” lo Spirito Santo

Nella lettera ai Romani, San Paolo scrive: “Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rom 8, 1-2). L’espressione “la legge dello Spirito” va considerata come un genitivo oggettivo, per cui si traduce “la legge che è lo Spirito”. In altri termini è lo Spirito Santo la “legge” del cristiano, una legge non più scritta esteriormente su tavole di pietra, ma scritta dallo stesso Spirito nel cuore dell’uomo.

È per questo motivo che il dono dello Spirito Santo viene fatto dal Padre e dal Figlio a Pentecoste: era, questa, una festa già celebrata dagli ebrei, nella quale essi ringraziavano Dio per il dono della “Torah” (la “legge”) data a Mosè sul Sinai cinquanta giorni dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, ossia da quella che gli ebrei considerano la Pasqua. La Pasqua cristiana, che consiste nella liberazione dalla schiavitù del peccato grazie al sacrificio di Cristo, agnello immolato per il nostro riscatto, ha come dono meraviglioso “la legge che è lo Spirito”. Si realizzano così le antiche profezie di Geremia e di Ezechiele: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore” (Ger 31, 33), “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36, 26-27).

La morte e risurrezione di Cristo ottengono a tutti noi quel “trapianto cardiaco” di cui parla il profeta Ezechiele: il passaggio dal cuore di pietra al cuore di carne è infatti la grazia fondamentale del sacrificio pasquale di Gesù, grazie al quale noi siamo ora in grado di vivere la legge morale non come un’imposizione esteriore, ma come un’attrazione interiore, resa possibile dal dono dello Spirito Santo.

Viene così debellato il sempre ricorrente pericolo del farisaismo, che pretende di ottenere la salvezza attraverso un’osservanza formale della legge, che conduce ad esibire a Dio l’elenco delle proprie “prestazioni” per ottenere da Lui il premio. Ha ragione San Paolo quando afferma che la legge antica serve solo a misurare la nostra incapacità di obbedire ai comandi di Dio e che nessuna osservanza esteriore dei precetti divini può ottenere la nostra salvezza. A salvarci è solo la “legge nuova” che è lo Spirito Santo, effuso nei nostri cuori come amore (Rom 5,5). L’amore è perciò il pieno compimento della legge (Rom 13, 10). Siamo così in grado di vivere il “comandamento nuovo” dell’amore, che è un “comando” per modo di dire: difficilmente, infatti, si può pensare all’amore nei termini di un obbligo. Grazie all’azione dello Spirito noi ci sentiamo non “obbligati” ad osservare le leggi di Dio, ma interiormente “attratti” da esse. E sperimentiamo che pure la preghiera va vissuta non come mero dovere, ma come amore filiale verso Colui dal quale sappiamo di essere amati, giusta la lezione di Santa Teresa d’Avila.

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Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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