Pubblicato il 21 Ottobre 2016 | di Saro Distefano
0Con la S. Famiglia in pellegrinaggio nella Terra Santa
È andato tutto bene, nonostante l’esordio non sia stato proprio dei migliori, anzi. I trentasei ragusani al seguito di fra’ Paolo Messina, cappuccino della Sacra Famiglia, erano pronti e legittimamente eccitati all’idea di dover partire per la Terra Santa. E puntuali si sono ritrovati davanti il tempio di via Archimede per andare all’aeroporto di Catania. Ma il pullman ha forato e la prima, forzata tappa è stato il gommista di via Ducezio, meno di mezzo chilometro dalla partenza!
Una quanto mai opportuna benedizione del pellegrino è stata quindi subito intonata da fra’ Paolo e padre Pietro, il parroco della Sacra Famiglia, anche lui del gruppo.
Da quel momento nessun impedimento, nessun intoppo durante le sette notti e gli otto giorni trascorsi in Palestina, per un pellegrinaggio che rimarrà certamente “dentro” tutti i partecipanti, chi per la prima volta, chi per la quinta o sesta in Terra Santa. Dai dodici anni di Chiara e dai tredici di Nunzio fino agli oltre settanta di padre Marcellino, parroco della chiesa dei Cappuccini di Siracusa, tutti sono rimasti profondamente colpiti dalla massa di emozioni, informazioni, esperienze vissute tra Nazareth e Gerusalemme, il lago di Tiberiade e il Mare Morto, Gerico, la più antica città del mondo e la modernissima Tel Aviv, il muro “del Pianto” e la moschea di Oman.
Il valore aggiunto al pellegrinaggio organizzato da Sasà Dipasquale, conosciuto capo scout dell’Agesci e polarizzatore di un gruppo molto eterogeneo (tornato cambiato, anche in questo, con amicizie di lunga data rinnovate e consolidate, e nuove, fresche amicizie nate in Galilea) è stato senza alcun dubbio Paolo Messina. Il frate minore cappuccino – forte della sua permanenza lunga sei anni a Gerusalemme – ha guidato il gruppo in una perfetta miscela di liturgia, spiritualità, cultura storica, conoscenza del territorio. Inutile sottolineare che Israele e l’intera area mediorientale vivono dal 1948 uno stato di alta tensione, con confini tra Stati ufficialmente in guerra.
Un viaggio a Gerusalemme e dintorni, dalla Galilea alla Giudea, non è un viaggio qualsiasi. Per motivi pratici: i controlli dell’esercito israeliano, le telecamere ad ogni angolo, le armi in bella vista anche alla cintola dei civili, e per motivi “altri”: non si può rimanere indifferenti in certi luoghi. Si sia credenti o meno, più o meno praticanti, più o meno “inseriti” nella organizzazione della Chiesa cattolica, al cospetto del Santo Sepolcro, nella chiesa della Natività, nella chiesetta di Gerico costruita laddove si vuole sia stato il sicomoro di Zaccheo, per tacere di Getsemani, non si può rimanere indifferenti. È così.
E a sentire molti tra i partecipanti, ha colpito anche una tappa voluta da Paolo Messina, diversa dalle “classiche”: il Caritas Baby Hospital di Betlemme, dove suor Lucia Corradin, delle Francescane Elisabettine, ha accolto i siciliani facendo visitare l’efficiente ospedale che vive solo di aiuti. «I nostri pazienti sono tutti bambini palestinesi, affetti da patologie più o meno gravi. Per alcuni sono sufficienti le nostre cure – ha spiegato la francescana da tredici anni a Betlemme – per altri dobbiamo rivolgerci alle strutture israeliane, ma solo se si riesce a reperire i soldi necessari, e per quelli per i quali non ci sono cure ci preoccupiamo di accompagnare i piccoli malati all’ultima ora, con i loro genitori, di norma coppie di giovanissimi, poco più che ragazzi».