Politica

Pubblicato il 21 Ottobre 2016 | di Mario Cascone

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Stagione di muri e di populismi

La Gran Bretagna, dopo l’uscita dall’Unione europea, ha deciso di erigere un muro alla frontiera di Calais per sbarrare l’accesso agli immigrati provenienti dall’Africa. Per quest’opera spenderà due milioni di euro. Anche l’Austria ha pensato bene di costruire una barriera per controllare meglio gli accessi degli extracomunitari dal Brennero.

In precedenza altre nazioni dell’Est europeo avevano manifestato la stessa decisione di non accogliere i profughi, lasciandoli spesso per lunghi periodi in accampamenti di fortuna, con tutti i disagi che sono facilmente immaginabili. Da un lato dunque c’è chi preme per entrare, fuggendo tante volte da Paesi in guerra o fortemente sottosviluppati o retti da feroci regimi dittatoriali, e dall’altro c’è chi vieta l’accesso nei Paesi europei, alimentando paure nei propri cittadini e adducendo ragioni facilmente classificabili come populistiche.

Cosa c’è in realtà dietro questi atteggiamenti? In primo luogo c’è sicuramente il fallimento dell’idea di Europa a lungo coltivata dai padri fondatori. Costoro infatti sognavano una federazione di Stati che, pur conservando la loro sovranità, potessero dar vita ad una realtà politica molto solida, capace di esprimere la sua forza sia al proprio interno che nel panorama internazionale. Ma questo è rimasto un sogno, perché il soggetto politico a cui si è dato vita è stato costruito principalmente attorno alla moneta unica e alle conseguenti preoccupazioni di stabilità economica, senza che si riuscisse a concordare vere e proprie politiche comunitarie o che ci si coalizzasse attorno a valori e obiettivi condivisi. Si sono registrate in questi anni continue tensioni fra nazioni economicamente più solide ed altre appesantite da enormi debiti pubblici e incapaci di sollevare il proprio prodotto interno lordo. Si sono anche verificate molte divisioni attorno ad alcuni temi cruciali di politica estera, a cominciare da quello dei profughi e degli immigrati, in cui i Paesi dell’Europa unita hanno manifestato tutta la propria incapacità a fronteggiare una situazione che diventa di giorno in giorno sempre più drammatica.

Guardando ancora più in profondità, alcuni osservatori ritengono che i problemi sono sorti in particolare con la messa in crisi dello Stato sociale, che ha alimentato in molti cittadini paura e insicurezza, mentre ha alimentato la politica che incoraggia a coltivare solo i propri interessi individuali (“ognuno per sé”). Zigmunt Bauman osserva che al posto dello Stato sociale c’è oggi lo Stato dell’incolumità personale, chiamato a proteggere i suoi cittadini dal pedofilo, dal social killer, dal mendicante invadente, dal terrorista oppure da tutte queste minacce riunite in un’unica figura: quella dell’immigrato clandestino. Adam Curtis commenta: «In un periodo in cui tutte le grandi idee hanno perso credibilità, la paura di un nemico fantasma è tutto quello che è rimasto ai politici per conservare il potere». La conservazione del potere, infatti, si nutre delle paure facilmente innescate dal potere mediatico e da esso rapidamente diffuse presso le popolazioni occidentali. Da qui partono le politiche di stampo populistico, che stanno premiando alcune coalizioni euro-scettiche in diversi Paesi.

Indubbiamente si pone, in questo quadro, anche l’enorme problema del terrorismo internazionale, che però non può essere affrontato semplicemente con la forza militare. Bauman fa notare che «data la natura delle armi moderne in dotazione ai militari, la risposta agli atti terroristici è inadeguata quanto il radersi con una scure». Essa infatti causa più vittime e danni collaterali di quanto ne producono i terroristi con le armi a loro disposizione, come sta ampiamente dimostrando l’intervento armato della Russia in Siria, dietro cui si cela un palese conflitto fra Putin e Obama. Dovremmo chiederci quali interessi economici si nascondono dietro la guerra al terrorismo, a cominciare dal commercio delle armi. Così come dovremmo domandarci perché tanti ragazzi sono disposti a farsi saltare in aria e perché tanti si lasciano ammaliare dall’Isis, anche nei Paesi europei.

In questa situazione complessa sono chiare almeno due cose: la lotta al terrorismo e la questione delle immigrazioni di massa dai Paesi africani non possono essere affrontate solo in chiave locale, perché nell’era della globalizzazione hanno una valenza mondiale; e non possono nemmeno essere risolte senza un’adeguata politica economica, che si prefigga di redistribuire in maniera più equa le ricchezze nel pianeta. Ha osservato Bejamin R. Barber: «Nessun bambino americano potrà sentirsi al sicuro nel suo letto se i bambini di Kabul o di Bagdad non si sentiranno sicuri nel loro. Gli europei non potranno vantarsi a lungo della loro libertà se i popoli di altre parti del mondo rimarranno poveri e umiliati».

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Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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