Pubblicato il 26 Febbraio 2014 | di Mario Tamburino
0Una storia diversa con il Centro di aiuto alla vita
«Tutto ha avuto origine – raccontano Carlo Moltisanti e Maria D’Angelo durante l’incontro curato dal Centro socio culturale ibleo, in vista della Giornata per la Vita del 2 febbraio – dal confessionale di padre Salvatore Tumino, il sacerdote che ha dato vita alle Cellule di evangelizzazione a Ragusa. Ecco, noi siamo nati dal dolore di quelle donne che affidavano ad un prete il dramma della decisione di abortire».
Nessuna volontà di condanna, in quei dialoghi, nessuna richiesta di giustificazione, solo tanta sofferenza bisognosa di essere abbracciata e, talvolta, perdonata. Ma, soprattutto, agli occhi del sacerdote, da quelle confessioni emergeva l’evidenza drammatica di un bisogno che non aveva incontrato risposta o, almeno, una compagnia nel momento della difficoltà.
Il Centro di aiuto alla vita, del quale i coniugi Moltisanti sono responsabili, è sorto così, dal desiderio di offrire una compagnia alle madri che lottano per non abortire.
«Le ragioni di tante scelte drammatiche – spiega Carlo, 55 anni, tecnico di dialisi – stanno spesso nella solitudine o, ancora più frequentemente, nella difficoltà economica». Non di rado, però, la decisione di abortire è frutto della superficialità indotta dalla mentalità dominante che riduce quell’inizio pulsante di vita ad una fastidiosa appendice da rimuovere, quasi si trattasse di una terapia, «quando di terapeutico, l’intervento, non ha proprio nulla».
Per uno come Carlo, abituato a vivere tra le corsie d’ospedale, la realtà ha la concretezza terribile dei corpi dei feti «letteralmente fatti a pezzi e buttati via tra i rifiuti speciali».
Sarà stato, forse, il fatto che Carlo e Maria non potevano avere figli naturali ad acuire in loro la sensibilità per la vita che comincia ad esistere anche quando non si vede e a farli incontrare, all’inizio degli anni novanta, con la comunità di padre Tumino. «Il desiderio di diventare genitori ci aveva portati a Milano a tentare assistita – raccontano – la via della procreazione. Fu don Salvatore a farci accorgere che quella strada prevedeva la selezione e la distruzione di embrioni. Quando al famoso professore che ci seguiva abbiamo detto che ci fermavamo per aprirci all’adozione, ci ha abbracciati».
Alla morte del sacerdote, avvenuta nel 2002, i coniugi obbediscono alla sua indicazione di continuare ad occuparsi di quel dramma. Nel 2007 nasce il Centro di aiuto alla vita, oggi sito presso il Consultorio familiare di via Cartia 3. Il Centro è il luogo di incontro di tante storie e dall’ascolto e dall’accoglienza di esse sono nati, ad oggi, almeno ventisette vite. Un’inezia, forse, considerato che a Ragusa si effettuano in media sei aborti la settimana, un tesoro inestimabile non paragonabile a nessuna bellezza nell’universo per chi, invece, ha avuto la possibilità di vedere i sorrisi di quei bambini e di ascoltare le storie delle loro madri. Come quella di Rosa (nome di fantasia), extracomunitaria, abbandonata dal compagno, che telefona al consultorio perché un medico, vedendola combattuta circa la decisione di interrompere la gravidanza, le mette in mano il numero di cellulare del Centro. Dopo l’incontro con i volontari accetta di essere inserita in uno dei “Progetti Gemma”, un programma di adozione prenatale a distanza di mamme in difficoltà, che va dal terzo mese di gravidanza fino al termine del primo anno di vita del bimbo.
Non c’è eroismo in queste storie, solo l’offerta di una possibilità diversa di stare di fronte alla sfida di una vita che nasce e chiede di farle spazio: quella di affrontarla insieme. «È il fatto di non sentirsi sole, che fa sì che tante mamme riconoscano il figlio che già si muove dentro il loro grembo». Una possibilità da tenere presente, dice Carlo Moltisanti, perché «di tutte le mamme che hanno dato alla vita, non ne ho conosciuta alcuna che si sia pentita». Perché nessuna donna sia costretta ad abortire.