Società

Pubblicato il 27 Febbraio 2014 | di Redazione

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Giù le mani assassine dai bambini indifesi

A noi non interessa a quale famiglia appartenesse Cocò, per quale ragione siano in carcere i suoi genitori, quale colpa dovesse espiare il nonno con il quale viveva e con il quale è morto. La Calabria è una terra complicata ed è difficile risalire al primo anello di una catena di delitti motivati dalla logica aberrante della supremazia, dello sgarro, della vendetta. I bambini non rientrano in questa logica, sono una categoria a parte e da parte dovrebbero essere lasciati ogni volta che le regole del gioco criminale reclamano uno spargimento di sangue.

Cocò aveva tre anni, pochi per aver fatto ombra a qualcuno, pochi per essere un testimone scomodo, pochi per tutto, anche per aver trascorso del tempo in carcere accanto alla madre. Nessuno è tenuto a rispondere delle azioni degli altri, sia pure familiari, tanto meno un bambino, che dall’adulto si aspetta la protezione di cui ha bisogno per sopravvivere e non gli chiede, non può chiedergli, quali siano le sue frequentazioni e i suoi comportamenti “esterni”.

Sembra che la deriva della nostra società sia ormai irreversibile, se non passa giorno senza che muoia, di morte provocata, una donna, moglie o compagna, se si spara in testa a un innocente e gli si dà fuoco per eliminare ogni traccia della sua brevissima, e già travagliata, esistenza. Non è solo commozione il sentimento che abbiamo provato per quel bambino dal nome buffo che non ha intenerito il cuore di chi si è votato al male e lo compie senza rimorso. È anche rabbia, senso di rivolta, difficoltà a capire, forse rifiuto di capire.

Non vale più, dunque, il vecchio monito «i bambini non si toccano», non vale che Gesù ci abbia chiesto espressamente di somigliare ai piccoli, se vogliamo entrare nel regno dei Cieli? Cocò è là, accanto a Gesù, appunto, papa Francesco non ha dubbi, e nessuno può averne, essendo quello il luogo naturale delle anime candide che il mondo non ha fatto in tempo a sporcare.

Perché, poi, a un fanciullo sia stata riservata una fine così straziante è domanda che non serve porsi e risposta che non è dato trovare. Non sappiamo se e quanto Cocò abbia capito, se per caso, e per sua fortuna, non abbia pensato a un gioco diverso dagli altri, se sia stato il primo o l’ultimo a morire.

Per condividere in pieno «le vie del Signore», per vedere in ogni cosa, anche in quella meno accettabile e meno spiegabile, un suo disegno buono, ci vuole una grande fede. Ammesso che ci sia, noi esseri umani conserviamo orizzonti terreni e i bambini ci piace vederli vivi, saltellanti e felici.

Un’altra volta, anni fa, qualcuno si è accanito su un ragazzo colpevole soltanto di appartenere a una famiglia implicata in traffici di morte. Aveva tredici anni ed è stato sciolto nell’acido, annullato perfino come cadavere. Il caso di Cocò, giustiziato a tre anni al pari di un delinquente incallito, è forse il più clamoroso nella storia della crudeltà umana organizzata e c’è da augurarsi che non abbia seguito.

Un nuovo atto di forza, troppo facile, e perciò vile, su chi non ha difesa ci farebbe veramente male.

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"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



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