Vita Cristiana

Pubblicato il 28 Ottobre 2018 | di Mario Cascone

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La tentazione dell’accidia pastorale

Nel suo documento programmatico “Evangelii gaudium”  Papa Francesco parla di “una Chiesa in uscita”, estroversa, essenzialmente missionaria, capace di non chiudersi nel tempio, ma di andare per le strade del mondo, soprattutto nelle periferie esistenziali, che pullulano di persone povere, non ancora raggiunte dalla gioia del Vangelo.

In una Chiesa di questo genere tutti gli operatori pastorali, a cominciare dai presbiteri e dai vescovi, devono avere “l’odore delle pecore”, ossia un contatto stretto con le persone a loro affidate, che devono essere conosciute, servite e amate una per una, attraverso un’azione pastorale incisiva, che non ruoti attorno all’assioma classico del “si è fatto sempre così”.

Fra le numerose osservazioni che il Papa fa all’attività pastorale della Chiesa attuale vorrei limitarmi a coglierne una: quella dell’accidia pastorale, che secondo il Pontefice è una tentazione ricorrente e assai pericolosa per gli operatori pastorali del nostro tempo. Dopo aver rilevato con gratitudine che molti oggi spendono con generosità la loro vita per la causa del Vangelo, il Papa si rammarica per coloro che si attaccano a “sicurezze economiche, o a spazi di potere e di gloria umana che ci si procura in qualsiasi modo, invece di dare la vita per gli altri nella missione” (n. 80). Francesco è preoccupato di quei sacerdoti che “si preoccupano con ossessione del loro tempo personale”, sentendo il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, “come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione”. Il Papa dice a chiare lettere che “alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante” (n. 81).  Quest’accidia può avere diverse origini: portare avanti con ostinazione progetti irrealizzabili, attaccarsi solo ad alcuni progetti coltivati dalla propria vanità, avere perso il contatto reale con la gente, puntando più all’organizzazione che alle persone (n. 82). Ma la più grande minaccia è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità”. Quest’ultima frase Papa Francesco la mutua da Benedetto XVI, facendo leva su di essa per osservare, stavolta con originali parole sue, che in questo modo “si sviluppa la psicologia della tomba, che a poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”. Questi cristiani, delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, “vivono la costante tentazione di attaccarsi ad una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come il più prezioso degli elisir del demonio” (n. 83).

Mi sembra che queste riflessioni di Papa Bergoglio siano la fotografia di una particolare tentazione che può serpeggiare tra gli operatori pastorali di oggi. Alla base di questa tentazione c’è lo smarrimento delle motivazioni di fondo che devono sostenere quanti sono chiamati a portare avanti la missione della Chiesa. Il Papa richiama più volte il pericolo di un’accidia pastorale che nasce da un cuore privo di slancio missionario e che, a poco a poco, si lascia intorpidire in un’azione monotona, ripetitiva, priva di mordente. Egli perciò ripete più volte l’invito: “Non lasciamoci rubare la gioia del Vangelo!”.


Autore

Sacerdote dal 1981, attualmente Parroco della Chiesa S. Cuore di Gesù a Vittoria, docente di Teologia Morale allo studio Teologico "San Paolo" di Catania e all'Istituto Teologico Ibleo "S. Giovanni Battista" di Ragusa, autore di numerose pubblicazioni e direttore responsabile di "insieme".



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