Attualità

Pubblicato il 3 Gennaio 2019 | di Andrea G.G. Parasiliti

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In ricordo di Salvo Di Fini

Arrivò, stamattina, una telefonata a casa. Mia madre, vedendo sul telefono il nome di Salvo Di Fini, aveva già iniziato a sorridere. Chissà, starà passando per un saluto al solito suo.

Iniziai a prendere confidenza con Salvo e col suo mondo, assai presto. Lo ricordo in mangiate pantagrueliche, tutte risate, degne di quel delizioso racconto di Vitaliano Brancati, dal titolo i “Piaceri della tavola”.

Eravamo in campagna, nella campagna del nonno a Chiaramonte Gulfi, che ai tempi della scapolaggine dello zio Salvatore D’Amanti, era di quest’ultimo un feudo goliardico, come il mio regno di Araucania e Patagonia, del quale diventai legittimo sovrano, poco più di un anno fa, alla morte dell’amato e compianto zio Jean Michel Parasiliti, duca di San Pedro de Hueyusco, Gran Maestro del Nobile Ordine della Stella del Sud e via discorrendo.

L’arrivo di Salvo Di Fini era un evento a sé. Casinista gentiluomo, e coltissimo. Curiosissimo come certi bambini intelligenti, con la sua stessa presenza mi ha fatto sempre comprendere quanta strada devo ancora compiere per imparare quel savoir-vivre, che forse non imparerai mai, se non ce l’hai nel sangue e basta.

Come quella volta che spuntò in casa per fare certi lavori ai denti della nonna e poi me lo ritrovai in veranda mentre parlavo con una signorina bellissima e assai gentile che sembrava apprezzare oltre ogni cosa i miei racconti, le mie sofferenze (mi ero appera fratturato delle costole), i miei lavori (stavo ultimando un volume che sarebbe uscito nell’autunno successivo a Milano), quando la voce di Salvo, resa ancora più rauca e quindi magnetica negli ultimi anni, fece imbarcare me la signorina e mia madre, che era appena spuntata con un vassoio di dolcetti in mano, alle volte della Russia, proprio nello stesso istante in cui, non ricordo per quale geniale collegamento, iniziò a parlarci con disinvoltura, familiarità e affezione di Nikolaj Gogol’.

“I primi dentisti”, scriveva Raffaele Poidomani in Carrube e Cavalieri, “se così vogliamo chiamarli, giungevano allora su nere carrozze che si fermavano in piazza, accompagnati da un imbonitore e un banditore, che decantavano l’arte del Dulcamara della bocca, e picchiando nel contempo sul tamburo sciorinava fra le mani del dentista un gigantesco fazzoletto rosso. Si trattava di due anestetici, uno per la vista e uno per l’udito, ma non per il paziente bensì per la folla che in quel modo non udiva gli urli e non vedeva il sangue”.

Salvo giungeva, invece, come su un tappeto volante che si alimentava di storie, di musiche e sorrisi. Il paziente veniva anestetizzato con iniezioni di storie favolose, ché spesso fui tentato di passare nel suo studio, senza appuntamento, all’impensata, perché avevo perduto il filo del racconto. Grazie a Dio, Cesare, il figlio, “Cesarino” per me compagno di giochi, ha ereditato dal padre il mestiere, la classe e l’arte affabulatoria.

Leggo che con Salvo, assessore negli anni ‘90 a Ragusa, partirono iniziative culturali di lungo corso, come l’Ibla Grand Prize. E ci mancherebbe altro. L’ultima volta che lo vidi, infatti, fu a Chiaramonte Gulfi, l’autunno del 2017, in occasione della “campagna lettorale” di Pietrangelo Buttafuoco, fresco della sua “Strabuttanissima Sicilia”. Pietrangelo, folle d’amore come al suo solito, era tutto in preda a quel suo furor di salvare la Sicilia, “fogna del potere”. Quand’ecco che, quella sera, al Circolo dei Cavalieri di Chiaramonte Gulfi, spuntò Salvo Di Fini con un cappello in mano. Pietrangelo era all’impiedi in atto declamatorio. Salvo, vedendomi in prima fila, voleva sottrarsi al mio sguardo, che lo colse all’istante e lo invitò a sedersi al mio fianco. E allora, come, abbandonandosi a un atto di fiducia mi si avvicinò.

Finita la presentazione-spettacolo di Pietrangelo, volli presentarli. Ne nacque una simpatia istantanea, contagiosa, gonfia di buonumore, frutto di quel magnetismo e di quella naturalezza che emanava la persona di Salvo.

Arrivò, stamattina, una telefonata a casa. Mia madre, vedendo sul telefono il nome di Salvo Di Fini, aveva già iniziato a sorridere. Il sorriso si tramutò in pianto, e il saluto, a questo giro, gliel’abbiam dovuto portare noi.

Nella foto da destra: Salvo Di Fini, Pietrangelo Buttafuoco, Andrea G.G. Parasiliti, Velia La Ciura.


Autore

(Ragusa, 1988). Post-doctoral Fellow della University of Toronto si è laureato in Filologia Moderna all’Università Cattolica di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Catania. Collaboratore del Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca della Cattolica di Milano (CRELEB) e, nel 2018, del PRISMES (Langues, Textes, Arts et Cultures du Monde anglophone) dell’Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, si occupa di Libri d’artista e Letteratura Futurista, Disability Studies e Food Studies. Fra le sue pubblicazioni: Dalla parte del lettore: Diceria dell’untore fra esegesi e ebook, Baglieri (Vittoria, 2012); La totalità della parola. Origini e prospettive culturali dell’editoria digitale, Baglieri (Vittoria, 2014); Io siamo già in troppi, libro d’artista di poesie plastiche plastificate galleggianti per il Global Warming, KreativaMente (Ragusa, 2020); Ultima notte in Derbylius, Babbomorto editore (Imola, 2020); All’ombra del vulcano. Il Futurismo in Sicilia e l’Etna di Marinetti, Olschki (Firenze, 2020). Curatore del volume Le Carte e le Pagine. Fonti per lo studio dell’editoria novecentesca, Unicopli (Milano 2017), ha tradotto per il CRELEB le Nuove osservazioni sull’attività scrittoria nel Vicino Oriente antico di Scott B. Noegel (Milano, 2014). Ha pubblicato un racconto dal titolo Odisseo, all’interno della silloge su letteratura e disabilità La mia storia ti appartiene, Edizioni progetto cultura (Roma 2014). Come giornalista pubblicista, ha scritto per il «Corriere canadese» (Toronto), «El boletin. Club giuliano dalmato» (Toronto), «Civiltà delle macchine» (Roma), l’«Intellettuale Dissidente» (Roma), «Torquemada» (Milano), «Emergenze» (Perugia), «Operaincerta» (Modica), e «Insieme» (Ragusa) dal gennaio del 2010.



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