Pubblicato il 8 Marzo 2019 | di Redazione
0Fede, spiritualità, devozione, festa. Santa Croce onora San Giuseppe
Arriva marzo, primavera alle porte; un tiepido sole illumina le vie di Santa Croce dove si avverte l’eco di un tempo che fu e che rivive puntualmente ogni anno: a marzo. Già dai primi giorni del mese comincia l’attesa dei festeggiamenti in onore di San Giuseppe. Gli animi sono in fermento: tutti, adulti, anziani e giovani, nessuno escluso, partecipano attivamente ai preparativi della festa che racchiude in sé fede, spiritualità, devozione.
Ogni anno piccole novità, segno che menti nuove e giovani si coinvolgono nel clima dei festeggiamenti. Sono i giovani, infatti, che, affiancando i più anziani, si impegnano nel comitato, in parrocchia, nell’organizzazione, nella raccolta porta a porta e, non per ultimo, nella comunicazione social di una festa che travalica i confini del paese. Nel ricordo del santo Giuseppe, padre putativo di Gesù e sposo di Maria, l’uomo che con le sue virtù insegna l’importanza della carità, della famiglia e della bontà, tutto il paese rivive la tradizione delle tavole imbandite, note col nome di “Cene di San Giuseppe”. Tramandate di padre in figlio e nei racconti delle nonne ai nipoti, l’allestimento delle “Cene” impegna l’intera famiglia con l’aiuto di amici e vicini, nel rispetto di un rito che tramanda il senso di carità e gratitudine per una grazia ricevuta o un voto fatto.
Al di là dei significati che oggi possono essere travisati, alla base della “Cena” c’è il sentimento di solidarietà e di condivisione che abbraccia tutti gli abitanti di Santa Croce. Su quella tavola, alla quale siederà la Sacra Famiglia, non c’è ricchezza solo di pietanze: c’è ricchezza di simboli e significati; c’è la ricchezza della fede, presente nella lampada ad olio accesa e nel quadro della Sacra Famiglia; c’è l’acqua che rappresenta la grazia purificante e il vino, la benedizione divina del lavoro umano; e l’acqua unita al vino segno che solo Dio libera dal male. Ed ancora c’è la fatica, l’amore l’esperienza di esperte mani lavoratrici che preparano “u pani pulitu” e i “ucciddati”, le varie forme di pane, mentre insegnano l’arte ai più giovani. Ed ancora, le fritture di baccalà, le frittate di asparagi e di “lassini”, i “pastizzi” di spinaci e le polpette di riso, piatti che rispettano i precetti del periodo quaresimale; limoni e arance amare, che richiamano le amarezze e i dolori umani; le primizie e “u lauri”, cioè le spighe di grano, simboli del lavoro umano. Quella “Cena” lauta e simbolica, richiama l’uomo, i segni della sua fede, la sua relazione di amore con il Santo e la sua relazione filiale col Dio di Gesù Cristo.
Rinnovare è allora lasciarsi coinvolgere dai significati antichi e originari, tornare a sentire l’intero paese come comunità cittadina unita anche dalla fede e dalla festa. Tradizione è sentirsi parte, riconoscere le radici. Cambieranno alcuni modi, avremo nuovi poveri, faremo fatica a vivere una tradizionalistica devozione, ma ci piace, come nuova generazione, sentirci investiti da genuini sentimenti di fede e di amore.
Luisella Lorefice