Pubblicato il 23 Luglio 2019 | di Alessandro Bongiorno
0Sì, questo non è un Paese per giovani
Confusi, senza un lavoro, con un orizzonte di futuro nebuloso e un presente che non può che essere ancorato alla famiglia. Quella d’origine, ovviamente. È quanto emerge dall’indagine “Non è un Paese per giovani”, promossa dalla Caritas di Ragusa tra i candidati al servizio civile.
L’indagine parte da Ragusa e si è poi estesa ad altre realtà della Sicilia ed offre risultati che meritano di essere approfonditi. Al centro una generazione che vive grandi disagi e che rischia di bruciare il periodo più bello e fecondo della vita nell’attesa. È una generazione che si connota per un sentimento di sfiducia verso la politica, la partecipazione, l’impresa e l’economia ma che non ha la forza, e forse neanche volontà, di cambiare l’esistente per portare a compimento quel progetto di vita in cui si è investito in termini di studio e passione. Un’indagine fotografa la situazione ma, certo, non offre soluzioni. È comunque una base per conoscere meglio le persone che stanno dietro gli schermi luminosi degli smartphone alla ricerca di una vita che non può essere vissuta solo in modo virtuale. In questa indagine resistono solo, come elementi di cauta speranza, la fiducia nel volontariato, l’ancoraggio a valori forti, una fede come compagna di viaggio.
«Si rafforza l’esigenza – commenta la Caritas nel trarre le conclusioni dell’indagine – di avere guide in grado di rassicurare i giovani, di informarli e di formarli, di allargare i loro orizzonti portandoli fuori dal confine delle proprie città o dalla loro più o meno virtuale cerchia di amici. In altre parole – aggiungono gli analisti della Caritas – di lasciarli liberi di sperimentarsi e di sbagliare. Cosa che, non incidentalmente, è proprio quello che fa il servizio civile nazionale». L’indagine è stata compiuta su 257 giovani di età compresa tra i 18 e i 28 anni, poco più di un terzo dei quali residenti nel territorio della Diocesi di Ragusa. La quasi totalità di loro (l’89 per cento) vive ancora a casa con i genitori. A questo proposito, si stima che un giovane impiegherà nel 2020 almeno 18 anni per essere indipendente (ne bastavano 10 nel 2004) e nel 2030 ne occorreranno addirittura 28 e l’indipendenza arriverà quindi alla soglia dei 50 anni, quando non si potrà più parlare di giovani.
Il problema è ovviamente quello del lavoro e i dati della Caritas si sovrappongono a quelli degli istituti di statistica, con una disoccupazione che, per i giovani, si attesta oltre il 57 per cento. Sorprende notare come siano i ragazzi ad avere più difficoltà a trovare lavoro rispetto alle loro coetanee e questo dato potrebbe anche nascondere il fenomeno del lavoro nero (con un giovane su quattro che conferma e ammette di lavorare senza alcuna garanzia contrattuale). La partecipazione di questi giovani e la fiducia nella possibilità di cambiare il corso delle cose è minima. Solo uno su 257 è iscritto a un partito politico, la fiducia nel governo e nei sindacati è minima, più del 50 per cento si sente impotente sulla possibilità dei giovani di incidere in questa realtà. Un po’ meglio va per quanto riguarda il report sui valori e la religione. L’86 per cento si professa credente e il valore principe resta quello della famiglia, seguito da amore e amicizia. Piace l’impegno della Chiesa e del Papa per i poveri, le persone con disabilità e gli anziani (ma – rileva la Caritas – salvo poi disertare i progetti di servizio civile a diretto contatto con le povertà), mentre in pochi sentono il tema delle migrazioni loro particolarmente vicino, confermando un modo di sentire e una cultura che si sta affermando in modo trasversale nel Paese e che tocca anche chi (per l’86 per cento) si ritiene credente.
«La nostra indagine – afferma la Caritas diocesana – ci offre l’immagine di giovani immersi in una realtà che appare troppo più grande di loro e che non si ha la forza di cambiare. È un disagio che ha radici sociali profonde che vanno ricercate anche nell’eccessiva dose di familismo che caratterizza i rapporti genitori-figli, con scarsa propensione all’autonomia da parte delle nuove generazioni».