Società

Pubblicato il 16 Settembre 2019 | di Redazione

0

Una comunità con spinte distruttive senza più una visione sul suo futuro

Perché la via Roma si è svuotata? Perché non è più il passaggio della città? Di per sé la domanda “perché la via Roma non è più viva?” sembra retorica e nostalgica. Non è né retorica né nostalgica. La domanda va disarticolata in tre sotto domande:
• perché non è più una via commerciale
• perché non è più una via di passeggio
• perché non è più una via abitata.
Ad un’osservazione più attenta le domande risultano non del tutto veritiere in quanto la via Roma è ancora una via commerciale, una via di passeggio ed una via abitata. Essa ha subito delle trasformazioni e sicuramente anche un depauperamento ma esistono esercizi commerciali, gli anziani la popolano e vi insistono abitanti nelle zone immediatamente limitrofe. La Via Roma non è quella di una volta. Sicuramente il quesito è posto dall’Associazione Commercianti che con una mano toglie e con l’altra chiede. Le istituzioni che invece attualmente si pongono il quesito del Centro storico e della sua funzione è il Vescovado, la Curia, la parrocchia di San Giovanni con punti di vista diametralmente opposti al quelli dell’Associazione Commercianti o quanti altri. Entrambi però convergono su un punto: il depauperamento sociale ed economico della popolazione che insiste nel quartiere di cui la Via Roma è uno degli assi portanti è un vero problema da risolvere in quanto, se il “corpus” urbanistico soffre per una via, possiamo pensare che questo sia il sintomo di una sofferenza sociale di più ampio respiro.

Un vertice storico
I “fatti”, pilastri della storia urbanistica di Ragusa.
1- Il terremoto del 1693 determinò due elementi principali, la ricostruzione e la costruzione di un nuovo sito. La ricostruzione di Ibla sullo stesso sito sta al desiderio della popolazione di non abbandonare la madre terra anche se è stata maligna e la costruzione del nuovo sito del “Patru” sta al desiderio di andare oltre l’evento catastrofico attraverso movimento “separativo” -stare in altro luogo- ma non del tutto tale, cioè troppo diverso. L’intento della popolazione era stare vicini e stare lontani allo stesso tempo, facendo convivere spazi e tipologie abitative e istituzionali molto diversi. Ibla mantiene lo spazio urbanistico medioevale ma vi ricostruisce chiese e palazzi barocchi, Ragusa Centro costruisce attraverso lo schema di un decumano regolare e squadrato con spazi più ampi e palazzi (vedasi l’attuale sede del Vescovado e la struttura della Badia) su linee, punti e prospettive (vedasi la Chiesa dell’Hecce Homo e la corrispondente strada) che aprono sia alle case sia al mondo circostante della natura collinare di Ragusa, non più totalmente arroccata e difesa.
Si è creata una dualità non sempre conciliabile nel gruppo sociale. A Ibla rimangono le famiglie aristocratiche, a Ragusa la nuova borghesia si fa spazio. La differenza tra il rimanere arroccati – esigenze di sopravvivenza ne avevano dettato la dura legge – e quella di alzare lo sguardo oltre la collina – sono una spinta evolutiva vissuta con ambivalenza.
2- La designazione di Ragusa negli anni ’30 come capoluogo di provincia ha promosso e acclarato lo sviluppo economico della città, attribuita una Prefettura. A quell’epoca Ragusa era ricca di ben tre filiere: la filiera del petrolio con l’attività estrattiva, la filiera della pietra pece e della pietra calcarea, la filiera dell’agricoltura. Si realizzano tutte le condizioni per convogliare su Ragusa risorse economiche. Si sono fondati due Istituti Bancari nel 1889 e nel 1902. Essi convoglieranno le loro energie un unico Istituto Bancario nel 1935 sotto il nome dell’attuale Banca Agricola Popolare di Ragusa. Il primo sportello si trovava in via Rosa, una piccola traversa di Corso Vittorio Veneto, accanto alla Cattedrale di san Giovanni nel pieno centro commerciale dell’epoca. L’estrazione della pietra pece ha mantenuto un commercio in cui erano stati determinanti i legami con Malta e la filiera della pietra bianca esprimeva un artigianato di pregio con la professione degli scalpellini, i quali anche se sottopagati, hanno creato energia economica e allo stesso tempo “bellezza” attraverso le loro opere d’arte piccole ma diffuse su tutto il territorio.
3- La legge su Ibla degli anni ’80 e la successiva definizione di un’unitarietà tra Ragusa ed Ibla attraverso la perimetrazione del Centro Storico che si amplia e si definisce mettendo insieme l’intero sito antico Sino a Ragusa superiore con il quartiere detto “Russia” alla cui termine c’è la chiesa dei Salesiani. Tale legge ha avuto il pregio di creare unitarietà non ancora consolidata.
4- La creazione dei quartieri periferici attraverso l’edilizia convenzionata negli anni ‘90. Non potendo più ridefinire il centro secondo principi economici e speculativi Ragusa sposta sulle periferie i nuovi quartieri abitativi e commerciali. Si creano altri corpi staccati dal centro di Ragusa, con carenze di servizi, trasporti e collegamenti vari.
Questi quattro vertici storici confermano però una particolare peculiarità dell’urbanistica di Ragusa che si è accresciuta per “blocchi”. Di fatto l’architetto Enza Battaglia suddivide la via Roma in tre blocchi e cinque tratti tutti con caratteristiche e peculiarità diverse. Già Filippo Garofalo segnala in “Album di famiglia di un capoluogo di
provincia” l’accrescimento di Ragusa negli anni 30 “per “blocchi”. Tale mentalità non è scomparsa per cui si potrebbe ipotizzare che sin dalla prima frattura urbanistica del terremoto si sia prodotto il primo “blocco” di Ragusa Centro, vicino e lontano allo stesso tempo, con funzioni sociali diverse. A seguire gli altri “blocchi”. importanti vie di comunicazione però segnalano che il tentativo di unire i “blocchi” e di farli cominciare tra loro ci furono. Una è la via che unisce Ibla a Ragusa, in un primo momento chiamata “Strada Interna” e in secondo tempo Corso Mazzini e la nuova via Roma, la quale era prima denominata Via Addolorata. Il cambio del nome segnala l’evoluzione della Via
Roma da via “Non Principale” a via “Principale”. Attualmente le periferie rappresentano i nuovi ed altrettanti “blocchi”. Quello che si osserva è che mancano le congiunzioni tra un blocco ed un’altro. Sembra difficile uscire dalla mentalità degli enfiteusi: ogni uomo nel suo campo strettamente delineato dalle pietre. I muretti sono belli, creano dei ricami sulla nostra terra ma, quanta pietra e quanti limiti!

Dagli anni ‘80/90 ad oggi.
A seguito delle spinte d’interesse economico negli anni ‘90/2000 la politica ragusana sposta nelle periferie sia la funzione abitativa che quella commerciale/economica. L’epoca è apparentemente rigogliosa ma si cominciano ad accusare i colpi economici determinati dagli scenari più ampi delle crisi economiche nazionali ed internazionali.
Ragusa dal 1693 si espande progredisce e si arricchisce e l’urbanistica lo dice chiaramente. La costruzione dei ponti – quello dei Cappuccini 1837, quello del ponte nuovo o Pennavaria, Via Roma 1937 ed il ponte Papa Giovanni XXIII 1964- ne testimoniano il continuo progresso ed il desiderio di “andare oltre”. La costruzione dei ponti crea un
movimento: vuoto/pieno, sotto/sopra, terra/aria/acqua. La via Roma si allunga pone un piede dall’altra parte, segna la direzione verso l’evoluzione che sarà il motore di Ragusa fino agli anni ’90. La via Roma collega il centro commerciale antico alla nuova Piazza Libertà, essa è nata per dare spazio al luogo di approdo del nuovo potere politico per proiettare il vecchio centro commerciale di Via Mariannina Coffa, della Piazza della Cattedrale e di Corso Vittorio Veneto verso le zone di ampliamento artigianale ed industriale. La fase propulsiva si consolidò anche nella cultura. Fino agli anni 80/90 vi erano club come il Brass Group che ha portato a Ragusa le stelle del Jazz con i concerti all’Auditorium della Camera di Commercio (si veda quindi lo spostamento del centro d’interesse su Piazza Libertà) ed il Teatro Club che non aveva luogo se non le sale di ricevimento come la sala di Di Pasquale sulla strada per andare a Comiso (anche questo rappresenta lo spostamento “fuori dal centro storico”) Non ultimo il premio di Poesia di Vann’antò molto ricercato tra gli intellettuali dell’epoca. A Ragusa vi erano tre cinema, poi quattro e via Roma era un centro commerciale naturale della nuova borghesia arricchita e propulsiva. Poi lo stop.
Ragusa attualmente ha un solo cinema in via Archimede non in centro e una multisala in periferia. Non è più attiva l’industria della pietra bianca, della pietra pece e del petrolio se non in modo estrattivo limitato. Non esiste un pensiero “politico” sulle attività commerciali se non legate ai grandi centri sorti all’esterno della città. La banca Agricola stessa, sebbene sia solida, nella percezione sociale, di recente, è vista come ostativa nei confronti degli stessi soci. L’unica attività veramente produttiva, che non sia il terziario, è rimasta l’agricoltura con tutte le difficoltà del settore.

Possiamo dire che la comunità ragusana ha una spinta distruttiva? Si, non è stata in grado di mantenere, trasformare e consolidare le tre grandi filiere industriali. Rimane solo quella legata all’agricoltura e alla zootecnia che si è mantenuta e trasformata, vera vocazione del territorio.

Individual-ismo/socilal-ismo
Ma a cosa è dovuta la tendenza distruttiva? Io propongo l’individualismo. Ragusa non è una società social-ista, è una società che si muove sotto la spinta narcisistica-individualistica. Permane una cultura delle caste, non delle classi sociali. Ad esempio possiamo parlare del simbolismo dei muretti a secco. Essi presentano dei varchi per il passaggio del bestiame ma non sono permeabili, anzi sono strutturalmente inamovibili. Impediscono un “travaso” naturale (molto probabilmente in un primo tempo era funzionale all’agricoltura, l’Uomo non fa nulla a caso) ma guidato e selezionato. I muretti non sono bordi di fiumi che possono esondare e fertilizzare come avveniva con il Nilo o forse con lo stesso Irminio. Questo tipo di struttura favorisce un’assetto paranoico della società in quanto il “vicino” diventa il nemico che potrebbe “travasare” elementi non graditi. Nell’ambito della psicoanalisi di gruppo per social-ismo s’intende la capacità degli individui che compongono un gruppo di mettere a disposizione degli altri i propri pensieri e la propria affettività superando l’angoscia che tale contatto produce. La relazione con il pensiero o la fantasia che l’Altro non abbia quello di cui si avrebbe bisogno non produce la ricerca del bene comune ma il desiderio di sottrarre questo ipotetico bene a tutto il gruppo ripiegando il proprio interesse all’individual-ismo come prodotto della ferita narcisistica. Tale spinta individualistica -che nasce come difesa dalle angosce separative- diventa la spinta che frammenta e impedisce al gruppo allargato di diventare tale. Di fatto Ragusa non ha ancora un teatro pubblico ma mille piccoli teatri privati, non ha una agorà ma tanti piccoli cortili. Non ha una programmazione culturale, economica e di conseguenza urbanistica che veda il gruppo sociale funzionare nella sua interezza. Diciamo che le paure devono rimanere private, nel teatro privato, che sembra difficile accettare l’Altro nella sua diversità evolutiva. Tutti sono d’accordo sul cibo e sulla natura facendo permanere il gruppo nella fase orale ed incorporativa. L’idea dell’Altro che si è consolidata è la diversità che taglia e ferisce, per cui il gruppo funziona con un unico pensiero: “l’unica idea che funziona, che la più bella ed funzionale è la mia” impedendo ad un pensiero di gruppo di emergere e di modificare sostanzialmente il pensiero comune, mantenendo un narcisismo di casta per difendersi dalle “pericolose” connessioni e innovazioni che ne deriverebbero, in quanto minacciose di un narcisismo già debole.

Tabelle delle quotazioni immobiliari
Dal 2006 al 2018 i prezzi del valore degli immobili commerciali sono scesi del 50%. Si evince che dalla crisi economica del 2008 ci sono voluti ben sei anni per abbassare i prezzi degli affitti immobiliari ma non si sono abbassati i prezzi degli affitti commerciali. Invece i costi degli immobili abitativi di tipo economico non hanno avuto
variazioni significative rilevate nello stesso periodo. Si evince quindi che là dove il costo del mercato delle abitazioni è determinato da una volontà super partes tutto rimane quasi invariato, invece il costo degli affitti ha subito una “resistenza”. E’ come aver letto che se l’individuo può decidere da sé diventa esoso verso la società e cede ob torto collo ad un abbassamento dei prezzi non volendo rinunciare ad un’entrata che ritiene “dovuta”. Ci ritroviamo con tre conseguenti aspetti psicologici fondamentali che si declinano con queste frasi:
• la costante lamentela di insoddisfazione sociale “a Ragusa non succede mai niente, non si fa mai niente” (non è vero, è solo frazionata l’attività in tante piccole azioni che ognuno vuole essere riconosciuta),
• questo pensiero stereotipato impedisce di vedere “altre” realtà,
• si favorisce la distruttività. Si potrebbe chiamare “peccato d’orgoglio”. L’Altro non viene vissuto come un reale interlocutore ma come un fastidioso impiccio da superare.
Tutto questo lo dice:
• il numero elevatissimo di teatri presenti a Ragusa, che producono isolatamente e non comunicano tra loro,
• Il numero esorbitante di associazioni culturali, anch’esse isolate “povere”,
• La visione monoculare della città che favorisce luoghi comuni a cui riferirsi con un vertice “mortifero”,

Tabella degli abitanti.
Essa ci dice che è un luogo comune pensare che non ci siano abitanti italiani ed invece non solo si evince la “trasformazione” del centro e, comunque un impoverimento di abitanti, ma ci sono nuovi nati e quindi famiglie. Il quartiere Centro e la via Roma sono vive. L’altro elemento che porta ad analizzare la “distruttività” della società ragusana inconsapevolmente “agita” è la viabilità che impedisce di arrivare al Centro e favorisce invece l’uscire dal centro stesso. Il “fallimento della Via Roma” sta quindi nell’individualismo e alla rinuncia di una visione sociale in cui il vantaggio dell’uno sta al vantaggio di tutti. Vige il detto “mors tua vitae mea”. Ma che non si dica! Vorrei tornare al sentimento nostalgico assolutamente assente. Esso, di norma, è legato al desiderio del ripristino del vissuto di antiche e più favorevoli e piacevoli condizioni di vita. Parimenti all’assenza della nostalgia sta l’assenza della visionarietà. Checchè se ne dica il ponte nuovo era “visionario” nella sua concezione. Adesso verso quale progetto va il ponte nuovo? Nessuno, favorisce solo fughe. Parimenti al ponte nuovo la Via Roma si è trasformata, (vedi tutte le tabelle) ma non è oggetto di una nuova “visione” che rappresenti un reale desiderio del gruppo sociale.
Dobbiamo ancora una volta all’iniziativa commerciale individuale la rivalutazione delle street food di via Mariannina coffa. Rimane sempre un’iniziativa individuale e quindi destinata ad avere breve vita. La città è un “corpo” urbanistico: se un’arteria muore prima o poi tutto il corpo ne risente. Non si sottovaluti il sintomo dei suicidi dai ponti, un triste segnale di disgregazione sociale ritornato alla luce.

Annapaola Giannelli

Tags: , , ,


Autore

"Insieme" esce col n° 0 l'8 dicembre del 1984. Da allora la redazione è stata la "casa di formazione" per tanti giovani che hanno collaborato con passione ed impegno.



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna Su ↑