Pubblicato il 17 Dicembre 2019 | di Redazione
0Leggere secondo verità e umanità le migrazioni
Come da quasi trent’anni a questa parte, la Caritas e Migrantes hanno realizzato l’annuale Rapporto Immigrazione, che quest’anno, riprendendo le parole di Papa Francesco durante la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, ha per titolo: “Non si tratta solo di migranti”.
Un intestazione che è già di per sé una dichiarazione di intenti. Prendere una visione umanocentrica, che metta quindi l’individuo in quanto tale, e non in quanto migrante o rifugiato, al centro dell’attenzione. Separare la persona dal fenomeno significa riprendere contatto con l’umanità e con la carità, significa aver cura del prossimo e dell’intera società.
Presso la Sala del Fondo Antico della Biblioteca Diocesana “Mons. Francesco Pennisi” di Ragusa, la Caritas diocesana e l’Ufficio Migrantes, alla presenza del vescovo Mons. Carmelo Cuttitta, del vicario del Prefetto dott.ssa Caruso e del Sindaco di Ragusa Giuseppe Cassì, hanno presentato i dati relativi al 2018-2019, sia a livello internazionale e nazionale, sia a livello locale. Presenti in sala anche operatori del settore e della stampa.
Dopo i saluti, mons. Cuttitta ha portato in evidenza come i fenomeni migratori non consistono solo nell’arrivo in Italia di cittadini straniere ma anche purtroppo nella fuga dall’Italia e ancor di più dalla Sicilia. Una fuga che sta portando allo spopolamento di intere aree rurali in Sicilia e ad una perdita di capitale sociale, di giovani, che troppo spesso cercano fuori dai confini nazionali possibilità e riconoscimenti. Una perdita non solo umana ma anche economica e culturale.
Incoraggianti le parole della dott.ssa Caruso, che ha evidenziato come Ragusa sia leader nei processi di accoglienza e integrazione, portando avanti numerosi progetti tramite le realtà sociali locali. Come il Protocollo d’intesa contro il caporalato, sottoscritto anche da Caritas, sindacati, forze dell’ordine, enti pubblici e privati, in una sinergia di intenti atta a combattere la sfruttamento lavorativo. Ragusa è leader nell’accesso e nel corretto utilizzo dei fondi FAMI, che, ad esempio, hanno permesso la riconversione dell’ex centro CPTA nel Centro Polifunzionale di via Colajanni. Prima luogo di esclusione, ora luogo di accoglienza e integrazione.
Riprendendo le parole del Santo Padre, don Rosario Cavallo, direttore dell’Ufficio diocesana Migrantes, apre l’incontro sottolineando come «non si tratta solo di migranti può essere anche declinato in “si tratta di tutta la persona, di tutte le persone…del futuro della famiglia umana”; pertanto è necessario e sempre urgente mettere e rimettere al centro del dibattito il tema della persona, al di là della sua esperienza migratoria. Non si tratta di migranti ma più in generale di tutte le persone vulnerabili, troppo spesso scartate, che abitano le nostre periferie con le tante criticità che le caratterizzano. Pensiamo ai minori senza tutela, ai giovani senza speranza, alle famiglie ferite e private dalla casa e del lavoro ecc. Non si tratta solo di migranti ci dice che il perpetuarsi della distinzione fra noi e loro, fra italiani e stranieri, fra i nostri problemi e i loro problemi, fra i nostri sogni e i loro sogni non ha più senso».
Sono diversi anni che in Italia viene proposta una narrazione sul fenomeno migratorio errata, che lancia un allarme di emergenza lì dove emergenza non c’è. Affrontare i fenomeni migratori in Italia come emergenze estemporanee da arginare, e non come elementi sistemici della geopolitica mondiale, ha troppo spesso portato o a soluzioni di corto respiro, incapaci di rispondere alle esigenze di ognuno, o a paradossi giuridici e storture del sistema normativo. Come sottolinea don Rosario Cavallo, in Italia la presenza di cittadini stranieri è ormai stabilizzata anche dal punto di vista numerico. In tutto il territorio nazionale si tratta di 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente residenti, pari solo all’8,7% dell’intera popolazione. Tra questi vengono contati anche i minori nati in Italia da genitori stranieri, e che quindi non hanno vissuto la migrazioni. Costituiscono il 15% delle nascite in Italia, ed il 9,7% del totale di alunni nelle scuole italiane. Eppure nonostante essere nati in Italia, essere integrati nei percorsi scolastici e sociali, non possono accedere alla cittadinanza italiana fino al compimento del 18° anno di età, creando il paradosso di essere italiani senza poterlo essere.
Il direttore della Caritas diocesana Domenico Leggio prosegue la presentazione del rapporto, mostrando come molti altri dati smascherano la retorica dell’invasione, volutamente manipolata. Mostrando invece una realtà stabile, in cui l’Italia, a livello internazionale, è ben lontana da altri paesi come percentuale mondiale di migranti ospitati (paesi come Germania e Arabia Saudita ne ospitano più del doppio, gli USA quasi 10 volte l’Italia).
Venendo al dato nazionale, interessante notare come la popolazione straniera sta evolvendo l’approccio al mondo del lavoro. Se ancora oggi un lavoratore straniero percepisce una retribuzione media inferiore rispetto ad un cittadino italiano, dall’atra parte in Italia è in crescita il numero di imprese di cittadini nati in paesi extra-UE. Imprese capaci di generare beni e servizi alla persona, e capaci di creare lavoro.
In Italia sono state 500 le persone accolte tramite i corridoi umanitari della CEI. Progetti a cui anche la Caritas diocesana ha aderito, accogliendo uomini, donne e bambini, in fuga da guerra, povertà e persecuzioni.
Il 34% dei detenuti nelle carceri italiani sono cittadini stranieri, e tra questi il 66% è di età compresa tra i 18 e 20 anni. Ma dall’intervento della dott.ssa Rosetta Noto, funzionaria della Casa Circondariale di Ragusa, si evince come questo dato risenta della discriminazione subita, anche all’interno dei percorsi giudiziari, dai cittadini stranieri. Infatti risulta complicato collocare in percorsi di pene alternative alla detenzione e di reinserimento i cittadini stranieri. Un dato che purtroppo alimenta lo stereotipo errata dello straniero pericoloso. In questa direzione, la Caritas diocesana si sta muovendo, attivando percorsi di reinserimento e di affidamento come misura alternativa alla detenzione.
Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione della Caritas diocesana, presenta quindi la realtà in provincia. Primo dato molto significativo è il calo drastico, degli ultimi due anni, degli sbarchi. Si è infatti passati dai quasi 120.000 migranti sbarcati nel 2017 ai soli 11.000 approdati nel 2019. Anche questo è un dato che rivela la macchinazione dietro la paura dell’invasione e la creazione di una falsa emergenza, smontando le retorica dei “porti chiusi”.
In provincia i cittadini non italiani costituiscono il 9,3% della popolazione totale, tra migranti e nati in provincia. Eppure nonostante la popolazione straniera abbia per la maggior parte meno di 34 anni di età, la provincia sta subendo un invecchiamento inesorabilmente: una vera emergenza di cui purtroppo non si parla a sufficienza, causato anche dall’emigrazione per l’estero di tanti giovani ragusani (in 6 anni il numero di emigranti è raddoppiato). Un fenomeno che sarà trattato nel prossimo mese di Maggio tramite il rapporto “Italiani nel mondo”.
Passando in rassegna i dati raccolti sulla realtà scolastica in provincia, risulta che gli alunni stranieri sono quasi 4500, il 9% del totale, di cui il 52% è nato in Italia. In 13 istituti scolastici gli alunni stranieri sono più del 40%. Spesso, purtroppo, non sono erogati sufficientemente nelle scuole servizi e assistenza necessari: mancano infatti equipe socio-psico-pedagogiche, mediatori culturali e inseganti di sostegno. Ciò aumenta, tra i minori, l’abbandono scolastico.
Una grave situazione rinvenuta nel territorio della “fascia trasformata” è la condizione di lavoro minorile a cui sono sottoposti molti bambini, con la privazione del diritto all’infanzia, condizione di solitudine, povertà e degrado.
Volendo rilevare l’apertura e la accoglienza, e quindi la percezione del migrante, tra gli studenti ragusani, è stato proposto un sondaggio a 500 giovani frequentanti licei, istituti tecnici e professionali della provincia. Il dato ricavato segna un livello di intolleranza media tra gli studenti, diversificato in base all’istituto frequentato.
Dalla scuola si deve quindi ripartire, insegnando l’apertura per combattere la paura, creando la comunità e la società del futuro: aperta e coraggiosa.