Società

Pubblicato il 24 Settembre 2020 | di Saro Distefano

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Ma non dovevamo essere migliori? Non possiamo più stare a guardare

Un antichissimo modo di dire ragusano è il seguente: “ummira ri ciaramina, pinnula ri cucina, acqua caura e stamu o virriri”. Traduzione letterale: “ombra di tegola, pillola di cucina, acqua calda e rimaniamo a guardare”.

Lo diceva il medico in visita al paziente quando, nove volte su dieci, non riusciva – per carenza di strumenti e di letteratura medica – a comprendere il malessere del poveretto (che magari aveva una semplice colica o una infezione che oggi con tre giorni di Zitromax scompare). Pertanto, l’uomo di scienza raccomandava al malcapitato di stare dentro casa (all’ombra delle tegole, ovvero sotto il tetto), di nutrirsi bene (la pillola di cucina, ovvero un cibo di sostanza e però digeribile) e poi di bere acqua calda (cosa che anche i medici odierni suggeriscono, specie per i malesseri di ordine gastrico, chè il liquido caldo rilassa le pareti dello stomaco) e rimanere pazientemente in attesa di eventi, novità.

Lo si dice ancora oggi (seppure nella forma contratta “acqua caura e stamu o virriri”) davanti ad una situazione di stallo, di scarsa o nulla comprensione del fenomeno. Ritengo si possa dire – senza andare lontano dalla realtà – riguardo alla pandemia e alla ripartenza, il prima possibile. Siamo in attesa di novità, in primis il vaccino (ma i tanto rumorosi “no vax” adesso cosa faranno? Coerenza vorrebbe che …) e purtroppo altro non possiamo fare. Per quanto antica la nostra (di Siciliani) storia di cadute (spesso si è trattato di sgambetti) e di rinascite, al momento non possiamo attingere alla esperienza storica. Se non per capire che possiamo solo bere acqua calda e attendere.

Ma non possiamo dirci cristiani se non ci affidiamo evangelicamente alla Provvidenza e umanamente alla nostra intelligenza. Dobbiamo sbracciarci e porre le basi per una ripartenza (sana) ed una rinascita (giusta). Dobbiamo fare di tutto. Dobbiamo vedere alla opportunità (certo, non l’avremmo mai auspicata in tale forma e dimensione) e non solo al problema. Dobbiamo ricostruire. La sanità pubblica e la fiducia nello Stato, la nostra capacità di comprenderlo e la nostra attitudine alla solidarietà.

Dobbiamo, più di ogni altra cosa, far capire ai violenti, ai delinquenti, che possiamo tutti convertirci. Ce lo chiese Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento. E lui si riferiva alla mafia. Ce lo chiedono adesso i nostri figli che vedono, come mai prima, compromesso il loro stesso futuro.

Quindi staremo a casa, all’ombra delle tegole (se dovessero chiedercelo, speriamo di no), mangeremo il giusto e berremo acqua calda. Cambiamo solo l’ultima parte dell’antico adagio: non staremo a vedere, faremo.

 

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Autore

Nato a Ragusa nel 1964 è giornalista pubblicista dal 1990. Collabora con diverse testate giornalistiche, della carta stampata quotidiana e periodica, online e televisive, occupandosi principalmente di cultura e costume. Laureato in Scienze Politiche indirizzo storico, tiene numerose conferenze intorno al territorio ibleo.



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