Politica

Pubblicato il 7 Dicembre 2020 | di Alessandro Bongiorno

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Le comunità siciliane degli Stati Uniti

Con l’auspicio che si torni a mettere l’accento sull’America “buona” e non sull’America “grande”, la comunità ragusana e siciliana che vive negli Stati Uniti ha accolto l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca. A farsene interprete è l’avvocato Giuseppe Rollo, fondatore di Filitalia International, un’associazione di italoamericani con varie sedi nel mondo, vice president del Comites (Comitato degli Italiani all’Estero) per la Circoscrizione Consolare di Filadelfia dal 1999 al 2004, fondatore e presidente dell’Associazione Regionale Siciliana di Filadelfia, considerato un autentico mecenate della cultura iblea negli States, vincitore del premio Ragusani nel Mondo del 2018.  Nato a Ferla ma con un nonno ragusano, è oggi un affermato avvocato, specializzato in particolare nel ramo civile, commerciale, delle transazioni immobiliari, nella legislazione che disciplina l’immigrazione e nel diritto internazionale. È patrocinante presso  la Corte Suprema e i Tribunali Federali  della Pennsylvania e del New Jersey.

Come ha vissuto la comunità siciliana, e iblea in particolare, il lungo duello tra Trump e Biden?

«La comunità siciliana dell’area geografica dove io risiedo, cioè Filadelfia ed il suo hinterland, non è molto numerosa e per la stragrande maggioranza è composta da corregionali che emigrarono negli Stati Uniti nel dopoguerra fino ai primi degli anni Settanta e che trovarono occupazione nel settore tessile, edile, della ristorazione o industriale in genere. È doveroso notare che le più recenti immigrazioni, numericamente inferiori, sono rappresentate da professionisti: medici, ricercatori che in Italia si possono annoverare come parte del fenomeno della “fuga dei cervelli”. La maggior parte dell’emigrazione tradizionale è completamente o quasi, integrata nel tessuto sociale americano ed in occasione di elezioni, risponde a stimoli ed interessi tipici del resto dei votanti. Mi azzarderei a dire che, malgrado gli umili inizi e notevoli difficoltà d’inserimento, una volta affermatasi ed dopo aver raggiunto una certa agiatezza economico-finanziaria, la maggioranza si è, gradualmente ma inesorabilmente, spostata verso destra ed adesso non vede di buon occhio gli immigrati di altre etnie come ad esempio i latino-messicani, che secondo molti deturpano i quartieri che per molti anni erano abitati da comunità italiane e che magari, vivendo delle proprie comunità ristrette, rifiutano o sono o sembrano restii all’integrazione nella società americana. Nel duello elettorale appena conclusosi (o così almeno speriamo), direi che più della metà di costoro si è schierata a favore di Trump».

Il tema dell’emigrazione e dell’immigrazione è stato centrale nelle politiche dell’ultimo presidente. Come si è posta una comunità come quella siciliana davanti allo slogan American first?

«Lo slogan “America first” ha avuto presa su molti connazionali e corregionali, che si sono, facilmente, ma secondo me erroneamente, visti messi in pericolo dai flussi migratori dell’America latina e allo stesso tempo hanno creduto al messaggio Trumpiano di un’America sfruttata e non rispettata dal resto del mondo».

Per più di una generazione l’America è stato anche un sogno da inseguire, la terra dove si può far fortuna e cambiare le sorti della propria vita e della propria famiglia. È ancora così?

«Su questo non posso che esprimere un certo scetticismo dovuto in primo luogo a contingenze obiettive e, nella fattispecie, a questa pandemia che ha causato un brusco arresto di molte attività produttive e disoccupazione che non si registravano da molti anni. Mi auguro che la scoperta e prossima distribuzione di un vaccino potrà rimettere l’America e d il resto del mondo nella strada di una robusta ripresa economica. In genere il sistema economico-produttivo americano è più reattivo perché più snello e meno gravato dalle incombenze burocratiche tipiche del nostro Paese. Da un punto di vista di continua stabilità istituzionale e difesa dei fondamentali principi di libertà ed eguaglianza che hanno distinto l’America da almeno cento anni, io sono cautamente ottimista che questo momento d’incertezza e di smarrimento verrà superato. Tuttavia, non posso che rattristarmi per quello che considero una pericolosa erosione di alcuni valori fondamentali, come quelli del pacifico e democratico avvicendamento del governo del Paese, in base ad ineccepibili risultati elettorali, e di una involuzione autoritaria causata da un presidente che ha violato le più basilari norme costituzionali e di prassi istituzionale, accettate ed applicate da ex presidenti e da ambedue i partiti politici da oltre duecento anni».

Cosa si aspetta la comunità siciliana che vive negli States dal nuovo presidente?

«Il mio auspicio per la nostra comunità, così come per il resto dell’America e di riflesso per il mondo intero, è che si torni a mettere l’enfasi, non su una “America grande” ma piuttosto su una “America buona”. Un buonismo che sostituisca lo sciovinismo e l’irredentismo. Ci sono volute due guerre mondiali con diverse decine di milioni di vittime ed inenarrabili atrocità per cercare di eradicare, con l’aiuto e guida determinante dell’America, i semi nocivi e distruttivi dell’odio razziale e del nazionalismo. Paradossalmente l’O.N.U. e la nuova sensibilità internazionale, che hanno superato e sostituito, anche se solo in parte, i nazionalismi, furono creature ed intuizioni americane. Dopo questo strano incidente di percorso del 2016, dovuto alla casuale confluenza di particolari fenomeni sociali, abbiamo bisogno di un’America che si riprenda il ruolo storico di protagonista sulla scena mondiale per la promozione, diffusione e difesa dei principi di libertà e dei diritti civili. Un’America che, in concerto con l’Unione Europea e tutte le nazioni di buona volontà, torni a rispondere all’anelito di libertà e di giustizia di tutti i popoli oppressi, degli indifesi e di quelli che vivono sotto il giogo di regimi autoritari. Quel faro di luce splendente che prima espone, poi offusca ed infine oblitera il male, condannando ed agendo, diplomaticamente ed a volte militarmente, contro coloro che causano indegnità e sofferenze alle proprie genti. Per riprendersi questo ruolo storico bisogna che essa si riprenda da questo malore dovuto ad un inaspettato contagio autoritario. Il popolo si è espresso. Le istituzioni hanno retto. Sono certo che il 20 gennaio, 2021 con il presidente-eletto Biden, essa si ripresenterà al mondo più forte di prima, perché, così come il presidente Trump si è autodefinito più forte e rinvigorito dopo essere guarito dal virus Covid, l’America, finalmente guarita ed immunizzata al virus autarchico trumpiano, tornerà più forte di prima alla guida e/o alla difesa del mondo libero».

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Autore

Giornalista, redattore della Gazzetta del Sud e condirettore di Insieme. Già presidente del gruppo Fuci di Ragusa, è laureato in Scienze politiche.



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