Società

Pubblicato il 3 Febbraio 2022 | di Mario Tamburino

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La nostra identità in una risposta

Mattina: L’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze è dedicato all’assemblea d’istituto. In anticipo sul mio orario percorro i corridoi e, sbirciando nelle classi debordanti di addobbi natalizi, incedo nel cambiamento d’epoca preconizzato da papa Francesco.

Gli sguardi degli studenti sono protesi verso lo screen del pc da cui, in collegamento da chissà dove, altri ragazzi della loro età espongono autorevolmente i contenuti all’ordine del giorno. Capisco che i volti che campeggiano da remoto sugli schermi sono tutti, a vario titolo, espressione della galassia Lgbtq+. Dei piccoli Greta Thunberg, immagino non senza pregiudizio, anch’essi determinati a migliorare il mondo rovinato dagli adulti.

Dopo avere incoraggiato i coetanei a supportare il movimento nel quale tutte le differenziazioni sessuali sono contemplate e accettate, uno dei relatori inizia una critica serrata alla «cultura dominante negli ultimi 250 anni». Mimetizzato tra i miei studenti e le mie studentesse, anch’io torno indietro ai miei diciassette anni. In luogo del capitalismo, però, il nemico da abbattere è oggi la società patriarcale e, a soppiantare le avanguardie del proletariato, gli apostoli del mondo nuovo sono davanti a me sullo schermo. A un certo punto l’interesse dell’uditorio si accende. «Il problema è l’idea di virilità che ci è stata inculcata. – denuncia il relatore – Questo modo di concepire la virilità è stato fonte di dolore e di umiliazione per secoli» e c’entrerebbe a detta sua con l’esito sociale dei femminicidi di oggi. «Questa visione maschilista non è altro che l’esito di incrostazioni culturali che bisogna cancellare. A scuola si continua a insegnare religione, forse bisognerebbe fare educazione sessuale». Cambiano le rivoluzioni, da quella proletaria a quella sessuale, ma non il nemico.

Resto perplesso, però. Le nuove categorie culturali impartite senza contraddittorio saranno davvero migliori di quelle superate? L’ideale di un’identità sessuale liquida aperta a tutto e a tutto egualmente indifferente è sanità o follia? Basta abrogare le differenze per ottenere il rispetto del diverso o non è piuttosto necessaria un’educazione che insegni, senza stancarsi, ad accogliere la diversità secondo categorie non determinabili dal potere di turno?

Sera: Partecipo ad un incontro in vescovado. Sono presenti quelli che potrei definire i “cristiani impegnati” della città. Vado via in leggero anticipo. Scendo le scale della sede vescovile passo accanto al presepe a dimensioni naturali posto in cima. Nel buio che oramai incombe intravedo due figure. La prima è quella di un sacerdote che conosco. Accanto a lui, un uomo di bassa statura, magro, sui quarant’anni. Ha i capelli crespi e la pelle olivastra, i tratti e la parlata di un magrebino. «Questo signore cerca un posto per dormire – mi informa il prete, probabilmente colto alla sprovvista dalla richiesta — Vediamo se c’è ancora qualcuno della Caritas».

Imbattersi in un uomo che sembra San Giuseppe e cerca un posto per la notte poco prima di Natale: Dio ha il senso dell’umorismo, ci spiazza sempre. Come sono contento che non abbia rivolto a me quella richiesta. Cosa avrei risposto io? Cosa avrebbe risposto chi guidava l’assemblea? Non c’è bisogno di giustificare ogni comportamento e non tutte le scelte sono equivalenti, ma è pur vero che agli occhi del Dio che scende dalle stelle e degli uomini che guardano dalle finestre illuminate, la nostra identità più vera non riguarda i principi che proclamiamo. Essa si gioca molto più nella risposta a quell’uomo che chiede un posto, in casa nostra, per non dormire al freddo e al gelo di una vigilia di Natale.

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